
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 6 febbraio scorso (caso “Italgomme pneumatici s.r.l. and others v. Italy” Applications nos. 36617/18 and 12 others) costituisce un fondamentale punto di svolta in riferimento all’impianto sanzionatorio in materia antiriciclaggio, in quanto censura direttamente le modalità di svolgimento dell’attività ispettiva della Guardia di Finanza in ambito valutario di cui all’articolo 52 del D.P.R. del 26 ottobre 1972 n. 633, norma procedurale che si applica, per espresso richiamo dell’art. 9 co. 4 letta a) del D.lgs. n. 231/2007, anche all’accertamento delle violazioni in materia di compliance antiriciclaggio da parte dei soggetti obbligati, prese in esame dal presente scritto (sul tema G.M. Antonelli, Le sanzioni amministrative in materia di antiriciclaggio, Notariato, 1/2024). Ebbene, la sentenza contiene una decisa riaffermazione dei principi fondamentali della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo di legalità, determinatezza, proporzionalità e del giusto processo fin dalla fase di accertamento delle violazioni, che peraltro costituiscono dei baluardi di legalità dell’intero sistema sanzionatorio amministrativo (Ampiamente sul tema generale della sanzioni amministrative S. Cimini, Il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 2017).
Nel caso “Italgomme Pneumatici S.r.l. e altri c. Italia” in commento la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha contestato le modalità di svolgimento dell’attività ispettiva svolta dalla Polizia delle Entrate (Guardia di Finanza) presso locali commerciali e sedi legali di attività professionali per l’esame e, in alcuni casi, il sequestro della documentazione contabile rilevante ai fini della valutazione fiscale. Oggetto di contestazione sono state le misure adottate dai funzionari e dagli agenti per la portata eccessivamente ampia della facoltà conferite a queste autorità dalla legislazione nazionale (in particolare dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 e dall’articolo 33 del D.P.R. n. 600/1973) e la mancanza di sufficienti garanzie procedurali in grado di proteggere i soggetti sottoposti ad ispezione o controllo da qualsiasi abuso o arbitrarietà. In particolare è stata contestata dalla Corte la mancanza nel diritto interno di un idoneo riesame giudiziario, ex ante o ex post, caratterizzato da una cognizione piena e dunque non influenzato dalla contestazione delle violazioni effettuate dell’autorità amministrativa, con conseguente violazione dell’articolo 8 della Convenzione, anche in combinato disposto con l’articolo 13 e l’articolo 6 § 1 della stessa. Conclusivamente, la Corte si è dichiarata insoddisfatta del quadro giuridico nazionale, in quanto inidoneo a fornire garanzie adeguate ed efficaci contro l’autorità fiscale e la polizia delle entrate, titolari di una discrezione illimitata in relazione all’accesso e alle ispezioni.
L’applicabilità dei principi enunciati dalla sentenza della Corte di Strasburgo in esame alla materia dell’antiriciclaggio deriva dalla circostanza che precipuo oggetto di indagine dalle sentenza è stato l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, norma di riferimento anche per l’attività di accertamento della Guardia di Finanza in materia antiriciclaggio, in virtù del richiamo disposto dall’art. 9 co. 4 letta a) del D.lgs. n. 231/2007.Tanto chiarito, si può passare all’esame dei principi enunciati dalla sentenza.
In primo luogo, la Corte ha chiarito l’imprescindibile esigenza che il diritto nazionale sia accessibile alla persona interessata in maniera chiara ed intellegibile, in ossequio ai principi di legalità e determinatezza dei precetti (cfr. art. 7 CEDU), purtroppo sovente disattesi dall’attuale normativa antiriciclaggio. In particolare la Corte ha affermato che <>, ovvero che sarebbe contrario allo stesso stato di diritto che la discrezionalità giuridica concessa all’esecutivo si esprimesse in termini di potere illimitato. Dunque la Corte, al paragrafo 120 della sentenza, si dichiara insoddisfatta del quadro giuridico nazionale relativo alla garanzie offerte ai consociati avverso il potere dell’autorità fiscale e della polizia valutaria, che invece gli stessi Giudici ritengono abbiano una discrezionalità illimitata in sede di ispezioni. Più in particolare, nei paragrafi 137 e seguenti viene contestata l’assenza di un efficace esame giudiziario ex post della legalità necessità e proporzionalità delle violazioni contestate, e dunque, pur esistendo una base giuridica generale nel diritto italiano per le misure impugnate, tale legge, a giudizio della Corte non soddisferebbe i requisiti di qualità imposti dalla Convenzione EDU. E’ questo il principio della full jurisdiction, secondo cui i diritti sanciti dalla CEDU possono essere recuperati e garantiti anche solo nella fase giurisdizionale che segue quella amministrativa, con il ricorso dinnanzi ad un giudice, ma solo a condizione che tale giudice sia dotato di una cognizione piena (full jurisdiction), come, evidentemente, non avviene nelle procedure ispettive della Guardia di Finanza, in cui il verbale elevato fa pubblica fede fino a querela di falso. Le lapidarie parole della Corte sul punto sono le seguenti: <>.
Successivamente, al paragrafo 148, i Giudici rilevano un’ulteriore criticità del quadro giuridico nazionale, invitando a più pertinenti indicazioni pratiche amministrative, che indichino chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad operare; essa afferma <>. Il punto è di particolare interesse, specialmente se traslato alla specifica normativa in tema di antiriciclaggio, in quanto esso affronta, ancora una volta, il tema del principio di legalità e del suo corollario, il principio di determinatezza, che trovano il proprio fondamento nell’art. 7 della Convenzione EDU, oltre che nell’art. 25 della Costituzione e, con riferimento alle sanzioni amministrative, anche nell’art. 1 della L. 689/1981. Per determinatezza si intende, tradizionalmente, un requisito di formulazione della fattispecie in termini precisi ed univoci, in quanto la chiarezza delle disposizioni normative, ovvero del loro significato, è elemento imprescindibile di quell’esigenza fondamentale che è la certezza del diritto. Occorre perciò una chiarezza assoluta del precetto normativo che positivizza la condotta vietata e la relativa sanzione, affinché sia comprensibile, senza incertezze, la condotta vietata e le esatte conseguenze della sua realizzazione, così evitando l’indiscriminato arbitrio dell’organo giudicante, che non avrebbe invece limiti di fronte a precetti normativi ambigui ed incerti. Le disposizioni che disciplinano il potere sanzionatorio non possono non delineare puntualmente la fattispecie, ovvero il fatto antigiuridico che costituisce il presupposto per l’irrogazione della misura punitiva, in quanto una norma indeterminata nella individuazione della condotta lederebbe anche il diritto di difesa, garantito sia costituzionalmente (art. 24 Cost.) che dalla carta EDU (artt. 47 e 48 CEDU). Se in ogni aggettivo della norma potesse essere ricompreso qualsiasi tipo di condotta, l’imputato resterebbe esposto all’arbitrio indiscriminato del giudicante: una qualsiasi condotta, valutata a posteriori, potrebbe rientrare nell’illecito, attesa l’ampiezza e l’indeterminatezza con la quale l’impianto normativo lo ha definito. In altri termini l’eccessiva genericità della norma determina eccessiva indeterminatezza e di conseguenza eccessiva discrezionalità dell’organo giudicante.
I suesposti principi sono stati da sempre affermati con incisività dalla CEDU in relazione al regime sanzionatorio amministrativo in molteplici sentenze, tra le quali non possono non menzionarsi “Engel c. Paesi Bassi”, 1976 e “Grande Stevens e altri c. Italia”, 2014, tuttavia la riaffermazione degli stessi nella sentenza “Italgomme pneumatici s.r.l. e altri c. Italia” in esame, dimostra che anche nello specifico ambito delle ispezioni della Guardi di Finanza (ex art. 52 D.P.R. n. 633/72) tali principi devono trovare piena attuazione, risultando altrimenti viziata la stessa procedura di contestazione delle violazioni.
Dunque la sentenza costituisce un ulteriore importante monito affinchè il legislatore nazionale, de jure condendo, ma anche gli inquirenti e l’autorità giudiziaria, de jure condito, recepiscano detti principi fondamentali anche nell’ambito delle sanzioni antiriciclaggio ed in particolare offre l’occasione per rimeditare le modalità di accertamento delle violazioni da parte della Guardia di finanza che devono mirare a rispettare tutti i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla presunzione di innocenza al giusto procedimento (art. 6 CEDU), tenendo sempre nella dovuta considerazione l’elemento soggettivo dell’agente per valutare l’esistenza o meno di una violazione giuridicamente sanzionabile. Diversamente il rischio è di violare ancora il diritto sovranazionale con ulteriori sanzioni per il nostro Paese.
