Gian Marco Antonelli
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’imprenditore – 2.1. Inizio dell’impresa – 2.1.1. Pubblicità legale – 2.2. Fine dell’impresa – 2.3. Tipologie di impresa – 3. L’Azienda – 3. 1. Nozione – 3.2. Natura giuridica – 3.3. Rami d’azienda – 4. La Circolazione dell’azienda – 4.1. Individuazione dell’oggetto del trasferimento d’azienda – 4.1.1 L’inventario – 4.2. Forma e pubblicità della cessione d’azienda – 4.3. I Contratti aziendali – 4.3.1. I Contratti di Locazione – 4.3.2. I Rapporti di Lavoro – 4.4. I Crediti aziendali – 4.5. I Debiti aziendali – 4.5.1. I Debiti tributari – 5. Segni Distintivi – 5.1. Nozione – 5.2. La Ditta – 5.3. Ragione e Denominazione sociale – 5.4. Marchio – 5.4.1. Marchio di fatto – 5.4.2. Volgarizzazione – 5.5. Insegna – 5.5. Invenzioni Industriali – 6. Divieto di concorrenza – 6.1. Nozione – 6.2. Derogabilità – 6.3. Casi particolari – 6.4. Disciplina della Concorrenza – 6.4.1. Legislazione Antimonopolistica – 6.4.2. Concorrenza Sleale – 7. Usufrutto di Azienda – 7.1. L’esercizio dell’azienda da parte dell’usufruttuario – 7.2. La costituzione dell’usufrutto – 7.3. I Contratti – 7.4. I Crediti – 7.5. I Debiti – 7.6. Il Divieto di concorrenza – 8. Affitto di azienda – 9. Patto di Famiglia – 9.1. Nozione – 9.2. Forma – 9.3. Disciplina – 9.4. Natura giuridica – 9.5. Struttura del patto – 9.5.1. Liquidazione dei non assegnatari – 9.5.2. Rinuncia alla liquidazione e liquidazione maggiore del valore – 9.6. Imputazione ex se (art. 564 co. 2 c.c.) e riunione fittizia (art. 556 c.c.) – 9.7. Soggetti – 9.7.1. Perdita della qualità di legittimari – 9.8. Oggetto del patto – 9.8.1. Partecipazioni sociali – 9.8.2. Impresa familiare – 9.9. Revocazione per sopravvenienza di figli – 9.10. Recesso – 10. Profili Fiscali – 10.1. Conferimenti di azienda – 10.2. Cessioni di Azienda – 10.2.1. Cessione di azienda in favore di ETS – 10.2.2. Cessione di azienda in favore di piccole imprese costituite da lavoratori in forma di società cooperative – 10.3.1. Affitto di azienda agricola – 10.4. Fusioni, scissioni e conferimenti di azienda effettuati da società ed enti- 10.5. Le cd. “cessioni spezzatino” e gli ulteriori sviluppi giurisprudenziali
1. Premessa
L’azienda, ovvero il complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività di impresa, può essere definita come l’oggetto dell’impresa, pertanto, per poterne cogliere l’essenza si ritiene necessario definire l’attività di impresa, che rende l’azienda ciò che essa è, ovvero un qualcosa di giuridicamente diverso dai singoli beni che la compongono. Infatti, non esisterebbe azienda se non vi fosse attività di impresa.
2. L’imprenditore
E’ imprenditore (art. 2082 c.c.) colui che esercita una attività che sia:
– Produttiva o di Scambio di beni o servizi e non di mero godimento,
– Economica, cioè tesa almeno a pareggiare costi e ricavi e senza necessariamente uno scopo di lucro soggettivo, consistente nella distribuzione degli utili (dunque un’impresa per conto proprio, cioè produttiva di beni e servizi per uso e consumo personale, non esclude l’economicità se i costi siano coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore),
– Organizzata attraverso uno stabile apparato produttivo (in mancanza del quale si avrà lavoro autonomo),
– Professionale, cioè attività abituale e non occasionale (peraltro l’organizzazione di per se comporta anche la professionalità escludendo l’occasionalità, ma anche in assenza di un’organizzazione, per la professionalità basterebbe la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei e funzionalmente collegati).
All’imprenditore si applica lo statuto generale dell’imprenditore, ovvero la disciplina dell’azienda (artt. 2555-2562 c.c.), dei segni distintivi (artt. 2563-2574 c.c.), della concorrenza e dei consorzi (artt. 2595-2620 c.c) e altre disposizioni sparse.
2.1. Inizio dell’impresa
La qualità di imprenditore si acquista con l’Effettivo Esercizio (art.2082 c.c.) dell’attività di impresa, mentre l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2195 c.c.) non ha efficacia costitutiva.
Diversamente, per l’esercizio collettivo dell’impresa (società) ciò che rileva è il contratto sociale (art. 2251 c.c.). L’atto costitutivo non è soggetto a particolari formalità, salvo l’atto pubblico necessario all’iscrizione nel registro delle imprese ex artt. 2296 c.c. e 187-114 dPR. n. 581/95 (che oggi prescrive l’iscrizione anche per le società semplici);
L’iscrizione nel registro delle imprese non è mai requisito di esistenza (come invece per le società di capitali).
a) L’iscrizione nel registro imprese è requisito di regolarità per Snc e Sas, che in mancanza dell’iscrizione sono società irregolari (2297-2317);
b) l’iscrizione nel registro imprese ha funzione di pubblicità Dichiarativa per Snc e Sas (2193) e per le Ss agricole (2 dlgs. 228/01);
c) l’iscrizione nel registro imprese ha funzione di mera pubblicità notizia per le Ss che non svolgano attività agricola (2 dpr. 558/99).
Poiché l’impresa è esercizio di attività non può aversi trasferimento dell’impresa in quanto attività, ma solo dell’azienda; (si ritengono equivalenti all’esercizio dell’attività di impresa quei soli atti di organizzazione, che per numero e significatività manifestino in modo inequivoco uno stabile orientamento ad un’attività produttiva, sia pur non ancora iniziata in concreto);
2.1.1. Pubblicità legale
Ogni impresa va iscritta dal conservatore nel registro delle imprese della camera di commercio della provincia di appartenenza.
Gli atti iscrivibili nel registro delle imprese sono in numero chiuso (principio di tassatività);
– Registro delle imprese Sezione Ordinaria:
ha funzione di pubblicità Dichiarativa per gli imprenditori individuali commerciali e non piccoli (artt. 2195-2202 c.c.), per tutte le società di persone;
ha funzione di pubblicità Costitutiva per le società di capitali (artt. 2332-2475 c.c.) e cooperative (art. 2515 c.c.);
sempre con funzione dichiarativa vanno poi iscritti i consorzi esterni fra imprenditori (art. 2612 c.c.), i GEIE con sede in Italia (dlgs. n. 240/91), gli enti pubblici commerciali (art. 2201 c.c.) e le società estere in Italia (l. 218/95);
– Registro delle imprese Sezione Speciale:
ha mera funzione di pubblicità Notizia (art. 85 l. 580/93 – art. 163 dlgs. 96/02) per le società tra professionisti, i gruppi di società, le imprese e imprese sociali (società semplici);
ha funzione di pubblicità Dichiarativa per gli imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori e le società semplici agricole (art. 2 dlgs. n. 228/01).
2.2. Fine dell’impresa
L’impresa si estingue, per una tesi, con la cessazione dell’attività, per altra tesi con la Disgregazione del complesso aziendale.
In ogni caso, la soddisfazione o meno di tutti i creditori è irrilevante (arg. 10 l.fall. che consente il fallimento dell’imprenditore “entro un anno dalla… effettiva cessazione” dell’impresa e dunque sottintende che è ben possibile un’estinzione senza soddisfazione dei creditori, altrimenti sarebbe inutile una dichiarazione di fallimento dopo l’estinzione).
La cancellazione dell’impresa dal registro delle imprese:
corrisponde all’estinzione dell’impresa solo se si tratti di società di capitali (art. 2495 c.c.) e, si ritiene, società personali iscritte (arg. 2312 c.c), ma non in caso di impresa individuale (arg. 102 l. fall. che per gli imprenditori individuali e le società cancellate d’ufficio fa salva la facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività d’impresa (disgregazione del complesso aziendale o cessata attività), da cui decorre il termine per dichiarare il fallimento);
2.3. Tipologie di impresa
– Impresa Commerciale (art. 2195 e segg. c.c..):
sono commerciali tutti gli imprenditori che non svolgano attività agricola e a tali imprenditori si applica l’obbligo della tenuta delle scritture contabili, le norme in tema di rappresentanza commerciale(art.2203-2213 c.c.) e la disciplina del fallimento, quest’ultima con l’eccezione dei piccoli imprenditori ai sensi dell’art. 1 l. fall.
– Impresa Agricola (art. 2135 e segg. c.c.):
è agricola l’impresa che si svolge attraverso lo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti e le attività connesse all’attività agricola (art. 2135 c.c.);
l’attività essenzialmente agricola, dovrà essere prevalente (art. 2135 c.c.) sulle attività connesse, che sono aventi ad oggetto i prodotti agricoli;
l’imprenditore agricolo, diversamente dall’imprenditore commerciale è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.) e dall’assoggettamento alle procedure concorsuali (art. 2221 c.c.);
– Piccolo Imprenditore (art. 2083 c.c.):
è piccola impresa l’organizzazione con lavoro prevalentemente proprio o dei propri familiari (art. 2083 c.c.), in cui cioè il lavoro dell’imprenditore e/o della sua famiglia, prevalgano tanto sul lavoro altrui, quanto sul capitale investito nell’impresa;
le piccole imprese, anche se esercitino attività commerciale, sono esonerate dalla tenuta della contabilità (art. 2214 c.c.) e dall’assoggettamento alle procedure concorsuali (art. 2221 c.c. – art. 1 l. fall.), mentre l’iscrizione nel registro delle imprese ha mera funzione di pubblicità notizia (art. 8 l. 580/93);
In tema di fallimento l’art. 1 l fall. pone dei limiti dimensionali che escludono l’impresa dal fallimento, ma non qualifica le imprese con tali limiti dimensionali piccole imprese.
– Impresa Familiare (art. 230 bis c.c.):
l’impresa familiare non è per forza piccola impresa e non per forza le piccole imprese sono imprese familiari ( v. regime patrimoniale della famiglia);
– Società: ogni impresa può essere individuale o collettiva, nel quale ultimo caso si parla di impresa societaria o società, ma non per questo ogni società svolge attività d’impresa, infatti vi sono anche società senza impresa (v. società);
3. L’Azienda
3. 1. Nozione
L’azienda, disciplinata dall’articolo 2555 e seguenti del codice civile, è “il complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’attività di impresa” (art. 2555 c.c.) .
Elemento fondamentale dell’azienda è solo l’Organizzazione, ma per taluno anche l’Avviamento, che comunque è preferibile tenere distinti, qualificando organizzazione la qualità dei beni aziendali prima dell’esercizio dell’attività di impresa e avviamento il solo effetto dell’esercizio dell’attività d’impresa e dei contatti con clientela e fornitori (dunque avviamento e clientela sono qualità intrinseche dell’azienda non cedibili autonomamente da essa, nè escludibili da un trasferimento d’azienda).
In particolare, si ritiene che solo l’organizzazione sia requisito dell’esistenza del complesso aziendale, potendo l’azienda non essere ancora stata esercitata, ma comunque sorta (Cottino, Diritto Commerciale, I, CEDAM, 1991 224; Martorano, 109; Cass. 6608/1983 e Cass. 4142/1981, contra Casanova, Impresa e azienda, Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli, UTET, X-1, 1, 1974, 732, per il quale l’elemento caratterizzante l’azienda è l’avviamento, tanto che il mancato trasferimento, unitamente ai restanti beni aziendali, dell’immobile in cui è esercitata l’azienda, ove essenziale per ubicazione, determinerebbe una disgregazione dell’azienda e quindi avrebbe luogo una cessione di singoli beni e non di un’azienda in senso tecnico).
L’importanza dell’organizzazione e dell’avviamento è confermata dagli artt. 2561 c.c.e 2562 c.c., che impongono all’affittuario e all’usufruttuario di azienda di preservare l’organizzazione dei beni aziendali.
L’autonomia dei beni che compongono il complesso aziendale allorquando ricorre il requisito dell’organizzazione fa sì che gli stessi possano essere anche oggetto di alienazione separata (si ritiene che solo la clientela e l’avviamento siano elementi necessari dell’azienda che non possano costituire oggetto di negozi giuridici autonomi). Tuttavia la specifica disciplina dell’azienda (2555 e segg. c.c.) trova applicazione solo laddove detti beni risultino organizzati e dunque ceduti nella loro unitarietà.
Un particolare problema si pone anche per le concessioni, licenze ed autorizzazioni provenienti dalla pubblica amministrazione, le quali in ragione del regime pubblicistico che le caratterizza, possono circolare esclusivamente unitamente all’azienda, o meglio, in alcuni casi, la cessione dell’azienda costituisce il presupposto per la circolazione di tali licenze ed autorizzazioni amministrative (cfr. art. 45 bis cod. Nav. per le concessioni afferenti ad attività commerciali, secondo cui “Il concessionario, previa autorizzazione dell’autorità competente, può affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto della concessione. Previa autorizzazione dell’autorità competente, può essere altresì affidata ad altri soggetti la gestione di attività secondarie nell’ambito della concessione”). Incisivamente si è affermato (Colombo, L’azienda e il mercato in Trattato Galgano 1979, 32 e segg.) che l’esistenza di un’azienda può ruotare attorno a un brevetto (n.d.a. o ad una licenza) e pertanto non potrebbe proprio configurarsi una cessione di azienda senza cessione di tale brevetto (n.d.a. o licenza).
Non è necessario che il titolare dell’azienda sia proprietario dei beni che la compongono ma occorre che abbia un titolo giuridico che gli permetta di disporne; l’esempio tipico è quello del godimento dei locali aziendali che l’imprenditore abbia a titolo di locazione (Cian, op. cit., 140; Galgano, op. cit., 64).
3.2. Natura giuridica
Secondo una prima tesi (cd. teoria atomistica, a cui si contrappongono le teorie unitarie), l’azienda è una pluralità di autonomi beni (Colombo, op. cit., 16 e segg., secondo cui l’unificazione teleologica dei beni ha luogo attraverso una relatio tale per la quale l’eventuale nullità del trasferimento di alcuni beni determinerebbe comunque la nullità dell’intero negozio di trasferimento ex art. 1419 c.c.)
Secondo altra tesi l’azienda è una Universitas Juris(Messineo, Manuale, 418 e segg.), ovvero una universalità di beni e rapporti giuridici, il cui trasferimento comprende anche la trasmissione automatica dei debiti, dei crediti e dei contratti. Tale tesi trae principale argomento dagli artt. 2559 e 2560 c.c., che sanciscono il trasferimento dei crediti e dei debiti al cessionario di azienda.
Secondo una terza tesi l’azienda è una Universitas Facti (Ghidini, Discipina giuridica dell’impresa, 184 e segg.) o Universitas Rerum (Cottino, op. cit., 229 e segg.), ovvero un complesso di soli beni e non anche rapporti giuridici, organizzati in vista della loro Destinazione Unitaria, poichè è possibile escludere dal trasferimento d’azienda sia debiti, che crediti, che contratti (Cfr. artt. 2558 – 2559 – 2560 c.c.) e poichè l’art. 2556 co. 1 c.c.prevede “l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda”, con ciò escludendo che l’azienda sia un bene nuovo rispetto ai beni che la compongono.
Corollario di tali tesi è la possibilità o impossibilità, rispettivamente, di un possesso del bene unitario azienda e sua conseguente usucapibilità, oppure possibilità o impossibilità di un possesso dei soli singoli beni aziendali e loro autonoma usucapibilità.
3.3. Rami d’azienda
Il ramo d’azienda suol essere qualificato come una porzione del più ampio complesso organizzato di per sé autonomo dal punto di vista operativo ed al ricorrere di tale autonomia trova applicazione la disciplina della circolazione dell’azienda (Cian, op. cit., 141). La cessione di rami d’azienda è possibile se i rami sono dotati di autonomia funzionale così da consentire l’esercizio di un’attività di impresa (anche diversa da quella esercitata originariamente dall’imprenditore) senza necessità degli altri rami della più ampia azienda. In caso contrario, possono cedersi solo i singoli beni aziendali, ma non si avrà cessione d’azienda ex artt. 2555 e segg. c.c.
Esempio: se un unico imprenditore ha “più aziende” (es. più ristoranti) esercitate sotto la medesima ditta è più corretto qualificare la situazione come un pluralità di rami dell’unica azienda.
4. La Circolazione dell’azienda
4.1. Individuazione dell’oggetto del trasferimento d’azienda
Il trasferimento dell’azienda (definito anche passaggio dell’impresa, Casanova, op. cit., 733) è cosa diversa dal trasferimento dei singoli beni costituenti il complesso aziendale (Cass. 2714/1994; Cass. 4094/1978). Per aversi trasferimento d’azienda non è necessario che l’atto di trasferimento comprenda l’intero complesso aziendale, ma è necessario e sufficiente che sia trasferito almeno un cd. ramo d’azienda e che la cessione del ramo d’azienda non alteri l’unità economica e funzionale dell’intera azienda. Fuori da quali casi non si ha trasferimento di azienda e dunque non si applicano le norme relative del codice civile (art. 2555 e segg. c.c.).
Oggetto dell’azienda sono tutti i beni e diritti di cui l’impresa cedente abbia la disponibilità, come il godimento di immobili o macchinari in locazione e simili (Casanova, op. cit., 735 e 738 e segg., che qualifica tali diritti componenti della “proprietà aziendale”).
Avviamento e clientela sono qualità intrinseche dell’azienda non cedibili autonomamente da essa, nè escludibili da un trasferimento d’azienda (si veda quanto scritto sopra).
Nel trasferimento d’azienda è fondamentale la voltura di licenze ed autorizzazioni per l’esercizio dell’impresa cui l’azienda si riferisce.
Con riferimento alla presenza nel complesso aziendale di diritti di proprietà immobiliare, si ritiene che rientri in tale complesso aziendale, nel momento in cui esso circola, un diritto di godimento su detti immobili, assimilabile al godimento che deriva dal contratto di locazione.
L’atto di trasferimento comprende tutti i beni presenti nell’azienda al momento del trasferimento (dunque nel legato d’azienda i beni presenti all’apertura della successione), anche se non specificamente determinati, salva una espressa e specifica esclusione. E’ opinione comune che sussista cessione dell’azienda anche se vengono esclusi dal trasferimento di determinati beni aziendali purché si tratti di beni non essenziali per la sussistenza del complesso aziendale e la sua funzionalità (Colombo, op. cit., 31). Occorre cioè che il cessionario sia messo in condizioni di proseguire l’attività di impresa a cui l’azienda la strumentale. Se così non fosse , il negozio resterebbe valido ma non si applicherebbe automaticamente la disciplina relativa alla cessione d’azienda.
Con particolare riferimento alla donazione d’azienda, si ritiene che anche qui non occorra indicare i singoli beni ex art. 782 c.c., ma tale indicazione è comunque opportuna.
4.1.1 L’inventario
Di particolare importanza, ai fini dell’individuazione del complesso aziendale oggetto di circolazione, è l’inventario, al quale, di norma, nella prassi negoziale, si suole fare rinvio per la concreta individuazione di singoli cespiti costituenti il complesso aziendale. Si ricorre dunque a questa relatio formale per una esatta individuazione dei beni costituenti il complesso aziendale oggetto di cessione, avendo, in particolare cura di specificare i valori dei singoli cespiti, compreso l’avviamento (Casanova, op. cit. 747), anche ai fini fiscali.
4.2. Forma e pubblicità della cessione d’azienda
L’articolo 2556 c.c. prevede che “Per le imprese soggette a registrazioni i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
I contratti di cui al primo comma , un forma pubblico per scrittura privata autenticata , devono essere depositati per l’iscrizione al registro delle imprese e virgola nel termine di 30 giorni , a cura del notaio rogante o autenticante”.
E’ prevista dunque una forma scritta ad probationem (Casanova, op. cit., 760), mentre per la Circolazione dei beni che compongono l’azienda bisogna guardare ai principi generali, dunque la forma scritta sarà necessaria ad substantiam nel caso in cui dell’azienda siano compresi beni immobili(1350 c.c.). Sul punto autorevole dottrina (Casanova, op. cit., 755) precisa che, ove l’immobile in cui è esercitata l’azienda, di proprietà dell’imprenditore cedente l’azienda, non fosse oggetto specifico di cessione, ma ad esempio concesso in mero godimento al cessionario, non occorrerebbe il rigore formale di cui all’art. 1350 co. 1 c.c.
Con riferimento alla pubblicità nel registro delle imprese, si ritiene che riguardi solo i trasferimenti di aziende tra parti che siano iscritte nel registro delle imprese, diversamente qualora nessuna delle parti sia soggette a iscrizione al registro delle imprese, neppure il trasferimento di azienda verrà iscritto (Casanova, op. cit. 748 e segg.; Marasà – Ibba, 130). Ovviamente l’ipotesi è marginale.
Tale iscrizione al registro delle imprese si ritiene inidonea a risolvere conflitti tra più aventi causa (pubblicità dichiarativa), in relazione ai singoli beni aziendali per i quali esistono regole specifiche di risoluzione di tali conflitti (come la pubblicità nei registri immobiliari per i beni immobili ex art. 2644 c.c.), ed anche con riguardo all’azienda del suo complesso. Si ritiene invece che tale pubblicità nel registro delle imprese sia idonea a risolvere i conflitti tra più eventi causa relativamente ai beni per i quali non sussistono regole specifiche a tal fine (Colombo, op. cit., 41 e segg.):
4.3. I Contratti aziendali
L’art. 2558 c.c. prevede che “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.
Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto.”
La successione dei contratti disciplinata dall’articolo 2558 c.c. è un effetto legale della cessione d’azienda e non richiede pertanto un’espressa pattuizione tra cedente e cessionario dell’azienda, né il consenso del contraente ceduto, normalmente necessario ai sensi dell’articolo 1406 c.c.
La successione nei contratti è espressamente escludibile pattiziamente ai sensi dello stesso articolo 2558 c.c. e per questo, per evitare contenziosi, si ritiene opportuno individuare contrattualmente quantomeno quei contratti ritenuti essenziali all’esercizio dell’impresa per le parti contraenti, fermo restando che certamente sono ricompresi nella cessione i contratti risultanti dai libri sociali e quelli noti all’acquirente (Auletta, Dell’azienda, Commentario al codice civile, diretto da V. Scialoja e G. Branca, artt. 2555 – 2642, Zanichelli, 1960., 55).
Si ritiene che il cessionario subentri anche nelle proposte contrattuali negli stessi limiti con cui è prevista la successione dei contratti già conclusi ex art. 2558 (Colombo, op. cit., 115 e segg.).
Quanto ai requisiti di conoscenza e conoscibilità della cessione d’azienda verso il contraente ceduto, si ritiene che, in deroga al meccanismo della notifica di cui all’art. 1407 c.c., la conoscenza della cessione dell’azienda, in qualunque modo ricevuta dal contraente ceduto, determini l’impossibilità per quest’ultimo di liberarsi eseguendo la prestazione a favore del cedente (Colombo, op. cit., 90 e seg.).
L’eventuale recesso del contraente ceduto, può generare una responsabilità nei suoi confronti dell’imprenditore cedente solo se questi non possa più adempiere il contratto ceduto, altrimenti potrà normalmente adempiere al contratto (Auletta, op. cit., 57 e seg.). Si ritiene che il recesso vada indirizzato all’acquirente e non all’alienante, essendo il primo a subirne gli effetti (Colombo, op. cit., 97). Giuste cause di recesso sono tutte quelle situazioni che riducano la garanzia del contraente ceduto ad una regolare prosecuzione del rapporto, come, ad esempio, le riduzioni della compagine aziendale (Colobo, op. cit., 99).
4.3.1. I Contratti di Locazione
Quanto hai contratti di locazione immobiliare relativi agli immobili in cui risulti esercitata l’attività di impresa, l’articolo 36 legge n. 392/1978 detta una disciplina speciale e prevede che il conduttore può sublocare l’immobile medesimo o cedere il contratto di locazione, anche senza il consenso del locatore, se venga assieme ceduta o data in affitto l’azienda esercitata nei locali locati; il locatore, però, può opporsi (solo) per gravi motivi. LA norma dispone dunque una cessione obbligatoria del contratto di locazione degli immobili ove è esercitata l’azienda nel caso di cessione di quest’ultima (Cass. 5137/2003).
Un esempio di gravi motivi che legittima l’opposizione del locatore ceduto è l’insolvibilità del cessionario.
4.3.2. I Rapporti di Lavoro
Quanto ai rapporti di lavoro, l’art. 2112 c.c. prevede che “In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido (1292), per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario.
L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti (2118, 2119), il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma (2558).
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.
Viene dunque prevista una continuazione obbligatoria dei contratti di lavoro a tutela del lavoratore, e dunque, evidentemente, inderogabile.
4.4. I Crediti aziendali
L’art. 2559 c.c. prevede che: “La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell’azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima.”
– Secondo un orientamento molto autorevole e diffuso, i crediti aziendali passano automaticamente al cessionario (Cass. 13692/2013; Cass. 864/2009; Cass. 6578/2008, Cian, op. cit., 157), per alcuni subordinatamente all’iscrizione nel registro delle imprese della cessione di azienda ai sensi dell’art. 2556 c.c. (Casanova, op. cit., 823, Colombo op. cit., 42, il quale ultimo però richiede anche un patto espresso). Tale orientamento è in sintonia con la tesi della natura di universitas juris dell’azienda.
– Secondo altro orientamento, altrettanto autorevole e riconducibile alla teoria di azienda quale universalità di fatto, nei rapporti interni crediti (e debiti) passano all’acquirente solo con un’espressa pattuizione (Colombo, op. cit., 25, 42, 117 e segg., il quale prospetta anche la possibilità di una cessione dei crediti desumibile aliunde, ad esempio dall’inventario o addirittura dal valore dell’azienda, il quale potrebbe tenere oppure no conto di un dato credito maturato, ibid. 124).
E’ dunque evidente l’assoluta opportunità di una espressa disciplina in tal senso, ancor più opportuna in caso di usufrutto e affitto di azienda, per via dell’art. 2559 co. 2 c.c.
L’iscrizione nel registro delle imprese della cessione di aziende al fine di rendere noto il trasferimento dei crediti ai debitori è elemento assai importante, in quanto, in caso contrario, l’adempimento fatto dal debitore all’originario creditore il cedente avrebbe effetto liberatorio (Colombo, op. cit., 131 e segg. secondo cui l’iscrizione nel registro imprese della cessione di azienda equivale a notifica della cessione del credito ex art. 1264 c.c., ma rimane ferma, anche dopo l’iscrizione nel R.I., così come dopo la notifica al debitore ceduto, la possibilità che questi in buona fede si liberi adempiendo all’originario debitore ex comb. disp art. 1265 e 1189 c.c.; nello stesso senso, la Relazione al Codice Civile; contra Auletta, op. cit., 62 e segg., secondo cui l’acquirente dell’azienda non acquista il credito di fronte al debitore con la sola iscrizione nel Registro delle Imprese, ma occorrerebbe un’ulteriore notifica, perchè ciò arrecherebbe l’onere del debitore di seguire i passaggi dell’azienda per evitare pagamenti non liberatori)
4.5. I Debiti aziendali
L’art. 2560 c.c. prevede che: “L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.”
Nei rapporti esterni:
a) l’alienante continua a rispondere dei debiti aziendali anteriori al trasferimento (2560 co. 1 c.c.),
b) i debiti aziendali passano al cessionario, ma nei soli limiti di quelli risultanti dalle scritture contabili (2560 co. 2 c.c.), precisandosi che alla risultanze delle scritture contabili non è equiparabile nessuna altra forma di conoscenza in capo al cessionario (Colombo, op. cit, 147); la vicenda viene qualificata accollo cumulativo ex lege (Colombo op. cit., 159 e segg.).
La norma è inderogabile, in quanto posta a tutela dei creditori, ma ovviamente è fatta salva la liberazione da parte del creditore (Auletta, op. cit., 68 e seg.) .
La mancata tenuta dei libri sociali secondo autorevole dottrina esonererebbe il cessionario dalla responsabilità per i debiti sociali (Ferri, Manuale diritto commerciale, 225; contro Casanova, op. cit., 832, Colombo, op. cit., 143 e segg.), poiché la norma è eccezionale e non estendibile oltre il suo contenuto letterale: dunque l’iscrizione del debito nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente (Colombo, op. cit., 147;Cass. 22831/2010; Cass. 5123/2006; Cass. 4726/2002; Cass. 8363/2000). Una semplice irregolare tenuta dei libri contabili, se i debiti vi risultino comunque iscritti, è irrilevante, cioè non esclude il passaggio dei debiti (Colombo, op. cit., 143 e segg.)
Ovviamente per i debiti non risultanti dalle scritture contabili, è sempre ammesso un accollo esterno (Cass. 211/1964).
Nei rapporti interni:
aderendosi alla teoria di azienda quale universalità di fatto, ed a maggior ragione aderendosi alla tesi cd. atomistica, i debiti passano all’acquirente solo con un’espressa pattuizione (Colombo, op. cit. 136 e segg; Cottino, op. cit., 245 e segg.) e se detti debiti fossero pagati, il cessionario avrebbe diritto di regresso verso il cedente, salvo accollo interno dei debiti da parte del cessionario.
Viceversa, aderendosi alla teoria dell’universalità di diritto, le obbligazioni aziendali passerebberoo automaticamente al cessionario (Casanova, op. cit. 831 e segg.).
Sarà perciò fondamentale un’apposita disciplina di tale situazione.
Quanto ai debiti derivanti da rapporti contrattuali pendenti (es. restituzione di un mutuo), si ritiene seguano la disciplina in tema di contratti ex art. 2558 c.c.
Nel caso di Ramo di Azienda la responsabilità per i debiti nei rapporti esterni è limitata ai debiti relativi a quel ramo secondo alcuni (Porzio, La sede dell’impresa, 245), solo se tale ramo abbia una contabilità separata; per altri (Colombo, op. cit., 152 e segg.), oltre che in caso di contabilità separata, anche se dalle scritture contabili sia possibile ricondurre i debiti ad uno specifico ramo. Per tale autore il cessionario del ramo di azienda non risponde neppure pro quota dei debiti riferiti in generale all’intero complesso aziendale; dunque il 2560 co. 2 c.c. per il ramo di azienda opererebbe in maniera limitata.
Stante la delicata funzione delle scritture contabili, si ritiene che esse vadano consegnate al cessionario dell’azienda, con la precisazione che, in caso di scritture uniche per tutti i rami d’azienda, il cedente dovrà conservare gli originari e il cessionario del ramo riceverne una copia (Colombo, op. cit. 153).
4.5.1. I Debiti tributari
Con riferimento ai Debiti Tributari, l’art. 14 del dlgs. 472 del 1997, prevede che “1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
2. L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.
4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni.
5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante.
5-bis. Salva l’applicazione del comma 4, la disposizione non trova applicazione quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
5-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento.”
L’art. 33 del Dlg.s n. 231 del 2001, in relazione a reati tributari, prevede altesì che “1. Nel caso di cessione dell’azienda nella cui attività è stato commesso il reato, il cessionario è solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione dell’ente cedente e nei limiti del valore dell’azienda, al pagamento della sanzione pecuniaria.
2. L’obbligazione del cessionario è limitata alle sanzioni pecuniarie che risultano dai libri contabili obbligatori, ovvero dovute per illeciti amministrativi dei quali egli era comunque a conoscenza.
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di conferimento di azienda.”
Pertanto, per i debiti tributari non trova applicazione l’art. 2560 co. 2 c.c., come nel regime previgente al Dlg.s 472/1997, e quindi non c’è limitazione di responsabilità per i debiti non risultanti dalle scritture contabili. Ebbene, è molto importante acquisire la certificazione di cui superiore art. 14 comma 3 Dlgs. n. 472/1997 ed è fondamentale una garanzia della parte cedente circa l’inesistenza di debiti tributari, al fine di evidenziare, quantomeno nei rapporti interni il peso a carico del cedente.
5. Segni Distintivi
5.1. Nozione
I segni distintivi sono oggetto di proprietà limitata, funzionale a evitare confusioni, pertanto il diritto di esclusiva dell’imprenditore a usare i segni distintivi esiste finchè essi abbiano una funzione distintiva, ovvero vi sia pericolo di confusione, mentre non potrà vietarsi a terzi di usare segni distintivi, quando per diversità di attività o mercati, non ci sia pericolo di confusione (arg. 2564 co. 1 in tema di ditta, secondo cui “Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla”);
pertanto tali segni devono avere i requisiti di novità, veridicità e capacità distintiva, mentre non saranno trasferibili se traggano in inganno i terzi;
5.2. La Ditta
La ditta, disciplinata dall’ art. 2563 e segg. c.c., è il nome commerciale dell’imprenditore (che, in mancanza della ditta corrisponde al suo nome civile; in ogni caso il nome dell’imprenditore individuale affianca la ditta dell’impresa individuale, es. “ditta…di…”).
La ditta non è trasferibile separatamente dall’azienda per atto tra vivi (art. 2565 co. 1 c.c.), similmente, mortis causa il testatore può impedire il trasferimento della ditta assieme all’azienda (art. 2565 co. 3 c.c.).
La ditta, se trasferita con l’azienda comporta una responsabilità solidale del trasferente verso i terzi che abbiano contrattato col cessionario dell’azienda, credendolo il cedente;
5.3. Ragione e Denominazione sociale
nelle società, ragione sociale (per le società di persone) e denominazione sociale (per le soietà di capitali) affiancano la ditta sociale, che rappresenta l’impresa sociale, ma mentre una società può avere una sola ragione o denominazione, pur avendo più imprese sociali e dunque più ditte.
5.4. Marchio
Il Marchio è disciplinato dagli artt. 2569 e segg. c.c. e dal dlgs. n. 30/2005 e dal Reg.Ce n. 40/1994.
Esso è il segno distintivo dei prodotti o servizi dell’impresa, che deve essere dotato di originalità, nel senso che non si ammettono marchi con denominazioni generiche o indicazioni descrittive, nè composti di termini di uso comune, al fine di impedire monopoli su termini di lessico comune (cfr. art. 2569 c.c. secondo cui “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”).
La registrazione del marchio ne garantisce il diritto di uso esclusivo, per prodotti identici o affini (e per i marchi cd. celebri, per ogni prodotto anche non affine), per una durata di dieci anni, rinnovabile illimitatamente.
5.4.1. Marchio di fatto
il c.d. marchio di Fatto (pre-usato), in seguito registrato da altri, avrà diritto di prevalere anche contro le successive altrui registrazioni, quando abbia raggiunto una notorietà nazionale, ma non potrà prevalere anche su marchi omonimi registrati per prodotti affini (art. 2571 c.c.)
5.4.2. Volgarizzazione
si decade dal marchio per sopravvenuta Volgarizzazione, quando esso sia divenuto denominazione generica di quel determinato prodotto, per ingannevolezza dello stesso, o per mancato uso ingiustificato protratto per oltre cinque anni (art. .
il marchio può essere anche separatamente dall’azienda trasferito (merchandising) o concesso il licenza (franchising);
5.5. Insegna
L’insegna, disciplinata dall’art. 2568 c.c. contraddistingue i locali dell’impresa e gli si applicano i principi generali in tema di ditta e marchio.
5.6. Invenzioni Industriali
Le invenzioni industriali, disciplinate dagli artt. 2584 e segg. c.c., sono brevettabili con funzione costitutiva del diritto di utilizzazione esclusiva.
Il diritto di utilizzazione esclusiva dura vent’anni dal brevetto, senza possibilità di rinnovare il brevetto.
Anche per le invenzioni industriali il preuso dell’invenzione prevale sull’altrui brevetto, ma solo per dodici mesi prima che un altro soggetto brevetti l’invenzione.
6. Divieto di concorrenza
6.1. Nozione
L’art. 2557 c.c. prevede che “Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.
Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.
Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento.
Nel caso di usufrutto o di affitto dell’azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell’usufrutto o dell’affitto.
Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela”.
Il divieto di concorrenza a carico dell’alienante riguarda solo le nuove attività(Colombo, op. cit., 201 e segg.) potenzialmente concorrenti del cedente, mentre non riguarda le attività ritenute inidonee allo sviamento della clientela e le attività del cedente preesistenti alla cessione, salvo che vengano indebitamente implementate, profittando il cedente della propria posizione personale (Casanova, op. cit., 787, Colombo, op. cit., 188 e segg.).
E’ decisamente opportuno in casi anche minimamente dubbi stabilire contrattualmente gli elementi (ad esempio territoriali o di attività) che sono considerati dalle parti “idonei a sviare la clientela”.
Il divieto si ritiene abbia una natura reale, nel senso che grava sul cedente anche in caso di ulteriore cessione a terzi dell’azienda, nei confronti di questi ultimi cessionari (Casanova, op. cit., 778, Colombo, op. cit., 197).
6.2. Derogabilità
Detto divieto, infine, si ritiene derogabile pattiziamente, ed anche ampliabile, purchè senza aumentarne la durata, dato il divieto espresso in tal senso di cui all’art. 2557 c.c. ed altresì senza giungere ad inibire qualsivoglia attività professionale del cedente (Casanova, op. cit., 787 e seg. e Colombo, op. cit., 217 e segg.).
6.3. Casi particolari
Il divieto si ritiene operante anche in caso di assunzione di qualità di socio illimitatamente responsabile in una società concorrente (Cottino, op. cit., 252, Colombo, op. cit., 191 e segg.) o nel caso di assunzione della qualifica di amministratore o rappresentante di impresa altrui (Casanova, op. cit., 786, afferma che in tali ipotesi dovrà esaminarsi caso per caso; contra Auletta, op cit., 48, secondo il quale in particolare la possibile preesistenza dell’impresa sociale alla quale viene a partecipare l’imprenditore cedente, induce ad escludere che possa operare il divieto di concorrenza in questi casi).
E’ dunque opportuno, anche in tali casi, l’estensione o meno del divieto alle imprese sociali ed altre ipotesi.
Il divieto si ritiene valevole anche quando la vendita sia a titolo gratuito o coattiva e anche in ipotesi di assegnazione dell’azienda a un erede per divisione ereditaria (Colombo, op. cit. 182 e seg.), di assegnazione a un socio per scioglimento di società e di vendita di una partecipazione sociale (perchè ciò equivale a vendita d’azienda anche senza formale trasferimento d’azienda).
6.4. Disciplina della Concorrenza
Le imitazioni della concorrenza possono essere verticali o orizzontali, legali o convenzionali (art. 2596 c.c.).
Le limitazioni convenzionali possono essere a) patti Accessori di durata non eccedente il quinquennio (art. 2596 co. 1 c.c.), salvo che diversamente disposto da una disciplina specifica (cfr. ad es. artt. 1566, 1567, 1568, 1752 bis, 2125 c.c.), b) patti Autonomi, unilaterali o reciproci, pure di durata non eccedente il quinquennio (art. 2596 co. 1 c.c.), salvo che prevedano un’organizzazione comune, anche solo sotto forma di consorzio (nel qual caso di consorzi la durata sarà di dieci anni ex art. 2604 c.c.);
6.4.1. Legislazione Antimonopolistica
La legislazione antimonopolistica a) vieta intese restrittive della concorrenza in maniera consistente (art. 2 legge n. 287/1990 ed art. 81 TCE); b) vieta l’abuso di posizioni dominanti individuali o collettive, che ledano la concorrenza o i consumatori (art. 3 l. n. 287/1990 ed art. 82 TCE); c) vieta le concentrazioni (per fusione o costituzione di una società tra più imprese, o per influenza determinante, anche indiretta tra imprese) che diano luogo a gravi alterazioni della concorrenza del mercato (art. 5-7 l. 287/1990 e Reg. Ce n. 139/2004);
6.4.2. Concorrenza Sleale
La concorrenza sleale è repressa al di là del dolo o colpa dell’agente e al di là di un danno ai concorrenti, bastando un danno solamente potenziale; e sono atti di concorrenza sleale:
a) gli atti di Confusione (art. 2598 n.1 c.c.),
b) la denigrazione e appropriazione di pregi altrui (art. 2598 n. 2 c.c.) e
c) gli altri atti (art. 2598 n. 3 c.c.) come la pubblicità menzognera (cfr. dlgs. n. 147/2004), la concorrenza parassitaria, il boicottaggio (cioè il rifiuto ingiustificato di imprese determinate a fornire rivenditori solo per escluderli dal mercato), il dumping (cioè la sistematica vendita sottocosto dei propri prodotti), lo storno (cioè la sottrazione) di dipendenti altrui e la sottrazione dei registri aziendali.
7. Usufrutto di Azienda
7.1. L’esercizio dell’azienda da parte dell’usufruttuario
L’art. 2561 c.c. prevede: “L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue.
Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte.
Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applica l’articolo 1015.
La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto.”
Il mantenimento dell’unitarietà dell’azienda (quale organismo economico aziendale, secondo la definizione di Auletta, op. cit., 72) è essenziale a tutelare il concedente che riacquista l’azienda al termine dell’usufrutto, per questo l’usufruttuario ha un obbligo di continuare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, anche, si ritiene, modificando vecchi marchi dei prodotti con nuovi marchi più idonei, ma non mutandone l’oggetto dell’attività (Colombo, op. cit., 231 e segg., che fa l’esempio del divieto di trasformare una trattoria popolare in ristorante di lusso e viceversa).
Non potrà, invece, l’usufruttuario effettuare acquisti che turbino l’equilibrio dell’azienda, i quali acquisti rimarranno dunque dell’usufruttuario al termine dell’usufrutto, se il nudo proprietario li rifiuterà (Colombo, op. cit., 238).
Per le scorte ed il capitale circolante, all’ovvio potere-dovere dell’usufruttuario di disporne, corrisponde l’obbligo per costui di ricostituire le scorte alla cessazione dell’usufrutto, o pagarne il controvalore (art. 2561 co. 4 c.c.).
7.2. La costituzione dell’usufrutto
Quanto alla costituzione dell’usufrutto di azienda, valgono le considerazioni svolte in tema di cessione di azienda relativamente alla forma, alla pubblicità e alla relativa natura giuridica, occorrendo solo precisare che per l’usufrutto svolge un ruolo molto importante l’inventario, che occorrerà anche per regolare le consistenze e le scorte alla fine dell’usufrutto.
Questioni che meritano una specifica disciplina sono le variazioni delle immobilizzazioni e dell’avviamento che si verifichino tra l’inizio e la fine dell’usufrutto (a esempio la stipula di una polizza a copertura del rischio di danneggiamento degli immobili aziendali)
7.3. I Contratti
L’art. 2558 co. 3 c.c. prevede un passaggio all’usufruttuario dei contratti aziendali per la durata dell’usufrutto, nulla dice invece per i contratti stipulati ex novo dall’usufruttuario, i quali si ritiene comunque che passino al nudo proprietario al cessare dell’usufrutto, salvo che l’usufruttuario li rifiuti in quanto dannosi per la gestione aziendale (Colombo, op. cit., 244 e segg.).
Si ritiene però problematica la questione dei contratti di lavoro, poiché per essi non è possibile escluderne la prosecuzione, salvo a dimostrare che il dipendente fosse a conoscenza dell’abusiva assunzione da parte dell’usufruttuario, sola circostanza che potrebbe giustificare una mancata prosecuzione del rapporto di lavoro, ma assai difficile da dimostrare (Colombo, ibid.).
Circa il diritto di recesso dal contratto nei tre mesi di cui all’art. 2558 c.c., esso non pare applicabile ai contratti stipulati dall’usufruttuario, che passano al nudo proprietario, perchè i creditori non potevano non sapere che l’usufrutto sarebbe terminato quando hanno stipulato il contratto in oggetto e dunque non sono meritevoli dell’ulteriore tutela rappresentata dal diritto di recesso.
7.4. I Crediti
L’art. 2559 co. 2 c.c. prevede che “anche nel caso di usufrutto dell’azienda, se esso (n.d.a. usufrutto) si estende ai crediti relativi alla medesima”, la cessione dei crediti relativi all’azienda ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione; tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.
Tuttavia, l’art. 2559 co. 1 c.c. non si occupa di chiarire la sorte del passaggio o meno dei crediti aziendali dal concedente all’usufruttuario (e viceversa al termine dell’usufrutto), che resta perciò discussa. Secondo autorevole dottrina (Colombo, op. cit., 251), per il passaggio dei crediti occorre un patto espresso, mentre sarebbe automatico solo il passaggio di quei crediti che servono a tenere legati all’azienda beni non di proprietà dell’imprenditore e quelli che, per il loro particolare oggetto, devono ritenersi tanto collegati alla gestione che il loro adempimento a persona diversa dall’imprenditore non avrebbe senso.
All’inverso, alla cessazione dell’usufrutto, anche il passaggio dei crediti al nudo proprietario non si ritiene automatica.
7.5. I Debiti
L’articolo 2560 co. 2 c.c., che dispone il passaggio dei debiti al cessionario dei rapporti esterni in caso di cessione di azienda, purché tali debiti risultino dai libri contabili obbligatori, si ritiene non applicabile nel caso di usufrutto (e affitto) di azienda (Cass. 2386/1958), poichè la norma riguarda i “trasferimenti” di azienda e perchè manca un richiamo espresso all’usufrutto, come presente invece nell’art. 2559 c.c. e 2112 c.c. (Colombo, op. cit., 254 e segg.). Dunque, per il passaggio dei debiti, occorre un patto espresso.
Per i debiti derivanti da rapporto di lavoro, l’art. 2112 co. 4 c.c., a tutela dei lavoratori, prevede l’assunzione da parte dell’usufruttuario della responsabilità solidale per i debiti conosciuti, o risultanti dai libri contabili o dal libretto di lavoro. Il problema si pone però all’inverso, nel momento di cessazione dell’usufrutto, sul quale la norma non prende posizione espressa, ma parrebbe comunque applicabile anche all’inverso: dunque i rapporti di lavoro proseguono anche con il nudo proprietario alla cessazione dell’usufrutto (Colombo. op. cit., 259 c.c.)
7.6. Il Divieto di concorrenza
Autorevole dottrina (Colombo, op. cit., 234) ritiene estendibile all’usufrutto di azienda, e dunque a carico de concedente, il divieto di concorrenza di cui all’art. 2557 c.c., non analogicamente, ma in quanto implicito nell’obbligo gravante sull’usufruttuario ex art. 2561 c.c. di conservare l’efficienza dell’organizzazione. In ogni caso, il punto non è pacifico.
8. Affitto di azienda
L’art. 2561 c.c. prevede che “Le disposizioni dell’articolo precedente (n.d.a. in tema di usufrutto di azienda) si applicano anche nel caso di affitto dell’azienda”. Si ritiene dunque possibile un’integrale estensione di tutto quanto scritto in tema di usufrutto di azienda.
9. Patto di Famiglia
9.1. Nozione
L’art. 768 bis. c.c. prevede che “E’ patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o piu’ discendenti.”
Il patto di famiglia è il Contratto inter vivos con cui il disponente trasferisce in tutto o in parte la sua azienda o le sue partecipazioni sociali ad uno o più discendenti (art. 768 bis c.c.).
Lo scopo dell’istituto è di preservare l’integrità dell’azienda nel passaggio generazionale.
Alternativa al patto di famiglia è la donazione congiunta a tutti i figli di tutto il patrimonio, cui segua una divisione stipulata dagli stessi donatari, così da evitare comunque azioni di riduzione, nonché obbligo di collazione. L’unica differenza sarà che la divisione sarà impugnabile da eventuali legittimari sopravvenuti al donante.
9.2. Forma
L’art. 768 ter c.c. prevede che “A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico”.
Il patto di famiglia deve avere forma pubblica (768/3) e se non si aderisce alla natura donativa del negozio, non si ritengono necessari i testimoni, che però sarà sempre meglio inserire prudenzialmente.
Sarà altresì opportuno che il notaio controlli il certificato di stato di famiglia rilasciato dall’ufficiale dello stato civile per verificare che tutti legittimari abbiano preso parte all’atto, allegandolo in originale.
Il contratto ammette l’apposizione di elementi accidentali e in particolare anche di oneri, data la natura liberale dell’attribuzione.
L’art. 768 quater co. 1 c.c. prevede che “Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
9.3. Disciplina
L’art. 768 quater c.c. prevede che “(omissis) Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.”
L’art. 768 sexies c.c. prevede che “All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768 quater, aumentata degli interessi legali.
L’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 768 quinquies“
9.4. Natura giuridica
Il patto di famiglia non è un negozio a causa di morte, nonostante la previsione dell’espressa deroga all’art. 458 c.c. in tema di patti successori, che potrebbe far sembrare il negozio a causa di morte, in quanto l’effetto traslativo è immediato e non efficace dopo la morte del disponente ed in quanto il valore dell’azienda (o delle partecipazioni sociali) è quello del momento del patto e non dell’apertura della successione.
Secondo un orientamento, si tratta di un contratto bilaterale di donazione modale, in cui l’onere per il donatario consiste nell’obbligo di liquidare i non assegnatari. Ciò si desumerebbe dall’art. 768 ter c.c., che richiede la forma pubblica, e dall’art. 768 quater c.c., che esclude le assegnazioni da collazione e riduzione, esclusione che non sarebbe necessaria se non si trattasse di donazione).
Secondo altro orientamento, si tratterebbe di un contratto plurilaterale con una funzione tipicamente divisionale di estromettere alcuni eredi dalla comunione ereditaria, attraverso l’assegnazione agli stessi di un’azienda o partecipazioni sociali, esenti da collazione e riduzione. Ciò si desumerebbe all’art. 768 quater c.c., secondo cui “devono partecipare” “Tutti coloro che sarebbero legittimari”.
9.5. Struttura del patto
Al patto di famiglia devono partecipare tutti i legittimari del disponente (art. 768 quater co. 1 c.c.)
Infatti, i legittimari non assegnatari acquistano un diritto di credito verso gli assegnatari, consistente nella liquidazione di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima spettanti ai non assegnatari, sul valore dell’azienda assegnata (art. 768 quater co. 2 c.c.). Esempio: l’azienda vale al netto 100 ed è assegnata ad A, fratello di B, unici legittimari; a B spetta ex art. 537 cc una legittima di 1/3, cioè 1/3 di 100= 33.
9.5.1. Liquidazione dei non assegnatari
La concreta liquidazione dei non assegnatari può avvenire anche con un contratto successivo espressamente collegato al patto, anche in natura e può anche essere rinunciata dai non assegnatari ).
La stima dei beni avviene per accordo delle parti (arg. 768 quater co. 3 c.c., che fa riferimento al “valore attribuito in contratto”).
Liquidazione compiuta dal disponente:
– Secondo una tesi, il disponente può procedere egli stesso alla liquidazione dei non assegnatari, perché è escluso da collazione e riduzione quanto ricevuto dai contraenti (art.768 quater co. 2 c.c.), cioè da tutti i contraenti, sia assegnatari che non assegnatari e tale precisazione sarebbe superflua se la liquidazione potesse provenire solo dai non assegnatari e non anche dal disponente.
– Secondo altra tesi, il disponente non può procedere egli stesso alla liquidazione, perché l’obbligo di liquidazione è posto espressamente a carico dei non assegnatari art.768 quater co. 2 c.c., e la disciplina del patto di famiglia costituisce un’eccezionale deroga ai patti successori, pertanto non può essere modificata;
Secondo altra tesi ancora, il disponente può procedere egli stesso alla liquidazione, ma solo a titolo di adempimento del terzo ex art. 1180, o assumersi il debito ex art. 1268 cc. Tali negozi avrebbero comunque una causa estranea a quella del patto di famiglia (di solito integrando una liberalità a favore del figlio assegnatario sgravato dell’obbligo di liquidare i non assegnatari).
9.5.2. Rinuncia alla liquidazione e liquidazione maggiore del valore
La liquidazione è rinunciabile dal non assegnatario (art.768 quater c.c.) e l’assegnatario può liquidare ai non assegnatari un importo maggiore di quello in astratto dovuto secondo il valore intrinseco dell’azienda (o delle partecipazioni sociali assegnate).
Ciò posto, secondo un orientamento, tali rinunce e maggiori liquidazioni sono liberalità autonome e collegate al patto di famiglia. Secondo altro orientamento, tali rinunce e maggiori liquidazioni non sono autonome liberalità, ma rientrano nel congegno causale del patto, poichè il valore dall’azienda assegnata e per conseguenza delle liquidazioni è stabilito dalle parti in atto (art. 768 quater co. 3 c.c.) e non è il valore reale intrinseco dell’azienda; dunque le parti sono libere di fissare il valore che vogliono per l’azienda assegnata e per la liquidazione.
9.6. Imputazione ex se (art. 564 co. 2 c.c.) e riunione fittizia (art. 556 c.c.)
– Secondo una tesi, l’esclusione da collazione e riduzione di quanto ricevuto dai contraenti (art. 768 quater co. 4 c.c.) esclude anche l’imputazione ex se di cui all’art. 564 c.c. e la riunione fittizia di cui all’art. 556 c.c., di quanto ricevuto dai legittimari col patto d famiglia, perché tali attribuzioni formano una massa autonoma e distinta dal relictum del disponente, che non va più presa in considerazione in sede di divisione dell’eredità del disponente alla sua morte (esempio: A e B ½ di legittima caduno, il Patto assegna ad A 100 e si liquidano 50 a B, dunque all’apertura della successione la massa fittizia sarà 50, di cui 25 ad A e 25 a B).
– Secondo altro orientamento, l’esclusione da collazione e riduzione di quanto ricevuto dai contraenti (art. 768 quater co. 4 c.c.) non esclude anche l’imputazione ex se di cui all’art. 564 co. 2 c.c.) e la riunione fittizia di quanto ricevuto col patto di famiglia (dunque le attribuzioni del patto di famiglia vanno riunite fittiziamente dai legittimari alla morte del disponente ex art. 556, per determinare le quote di legittima e disponibile e le stesse attribuzioni del patto di famiglia vanno imputate alla quota di legittima dei legittimari che intendessero agire in riduzione ex art. 564, salvo una espressa dispensa ex art. 564 co. 2 c.c.). Non osta a tale interpretazione l’art. 768 quater co. 3 c.c., che prevede l’obbligo di imputare quanto ricevuto alla propria quota di legittima solo in riferimento alla liquidazione ricevuta dai non assegnatari (e non anche a quanto ricevuto dagli assegnatari), perché solo per la liquidazione è sancita un’eccezione all’oggetto dell’imputazione ex se, che non avrà ad oggetto quanto ricevuto dal de cuius, ma la liquidazione ricevuta dagli altri legittimari assegnatari (esempio: A e B ½ di legittima caduno, il Patto assegna ad A 100 e si liquidano 50 a B, dunque all’apertura della successione la massa fittizia sarà 150 e facendo imputazione ex se A di 100 e B di 50, spettaranno a B altri 50)
Le indicate imputazione ex se e riunione fittizia vanno fatte secondo il valore attribuito in contratto (cioè nel patto di famiglia) alle attribuzioni del patto di famiglia (art. 768 quater co. 3 c.c.) e non secondo il valore dell’apertura della successione del disponente.
9.7. Soggetti
Il patto di famiglia riguarda il disponente e tutti i soggetti che diverranno legittimari al momento della sua morte, come risultanti dal certificato di stato di famiglia, che sarebbe opportuno allegare al patto.
Discendenti sono anche i nipoti ex filio del disponente, ove i figli non vengano alla successione (arg. 536 co. 3 c.c., che riserva ai discendenti dei figli gli stessi diritti riservati dalla legge ai figli).
9.7.1. Perdita della qualità di legittimari
Gli acquisti dei partecipanti al patto, sia assegnatari, che non assegnatari, secondo una tesi sono risolutivamente condizionati al venir meno del rapporto di coniugio o parentela col disponente (es. divorzio), secondo altra tesi restano stabili in ogni caso.
9.8. Oggetto del patto
9.8.1. Partecipazioni sociali
Il patto di famiglia con oggetto partecipazioni sociali si ammette solo se tali partecipazioni rivestano un carattere di significatività, comportando cioè un potere di influenza sulla società, risultando altrimenti l’assegnazione difforme allo scopo del patto di famiglia, che è quello regolare il passaggio generazionale dell’impresa.
9.8.2. Impresa familiare
Nel caso in cui l’azienda oggetto del patto di famiglia è oggetto di impresa familiare, se il rapporto di collaborazione cessa, sono necessari il consenso dei familiari collaboratori ex art. 230 bis co. 1 c.c. e la loro liquidazione ex art. 230/2 co. 4 c.c.
Con riferimento al diritto di prelazione ex art. 230 bis co. 5 c.c.:
– Secondo un orientamento (preferibile a fini prudenziali), il disponente altresì tenuto a rispettare il diritto di prelazione degli altri familiari, dato il richiamo alla disciplina dell’impresa familiare fatto dall’art. 768 bis c.c.
– Secondo altro orientamento, non sorge un diritto di prelazione per i familiari collaboratori all’impresa in presenza della disposizione dell’azienda per patto di famiglia, poichè il patto costituisce un trasferimento gratuito e perché verrebbe altrimenti vanificata, con la prelazione, la volontà del disponente ne passaggio generazionale dell’azienda, funzione del patto di famiglia.
In ogni caso, se il disponente, pur trasferendo l’azienda, continui a gestirla lui stesso (perché ad es. disponga della sola nuda proprietà), allora non si ritiene sorga il diritto di prelazione per gli altri familiari, perché in tal caso il loro rapporto lavorativo continua normalmente.
Tra i familiari partecipanti al patto, secondo alcuni, rientra anche il convivente more uxorio, per interpretazione analogica dell’art. 230 bis c.c., secondo altri, non rientra il convivente more uxorio, perché l’art. 230 bis c.c. fa riferimento ai soli familiari.
9.9. Revocazione per sopravvenienza di figli
La revocazione automatica del patto per sopravvenienza di figli non è ammessa, neanche aderendo alla tesi della donazione modale, che ammette tale revocazione, perché mancherebbe il presupposto pregiudizio per i figli sopravvenuti. Infatti a tali figli sopravvenuti, in quanto legittimari non assegnatari, spetterebbe comunque il diritto alla liquidazione.
9.10. Recesso
E’ espressamente previsto un diritto di Recesso convenzionale dal patto di famiglia, che può essere modificativo o estintivo (art. 768 septies n. 2 c.c.), ove quello “modificativo” attribuisce un diritto di opzione ad adottare modifiche unilaterali.
Se il recesso è convenuto a favore di uno o più legittimari non assegnatari, costoro potranno sciogliere il contratto, restituendo la liquidazione, per richiedere la collazione o la riduzione delle assegnazioni del patto di famiglia.
10. Profili Fiscali
Preliminarmente occorre precisare che la configurazione, secondo i criteri civilistici suindicati di un’azienda o ramo di azienda, è elemento essenziale in ambito fiscale, poiché lo specifico regime fiscale della circolazione dell’azienda è diverso dal regime circolatorio dei singoli beni. In particolare è stato chiarito che non costituisce cessione di azienda, ma compravendita immobiliare, la cessione a titolo oneroso di un singolo immobile che pur possa essere utilizzato per lo svolgimento di un’attività di impresa (cfr. Risposta ad Interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 81/2019, pubblicata in Cnn Notizie n. 57 del 26 marzo 2019)
10.1. Conferimenti di azienda
In virtù di un chiaro intento agevolativo voluto dal Legislatore, il conferimento di un’azienda o un suo ramo, anche quando possegga una componente immobiliare è sempre soggetto all’imposta di registro in misura fissa di euro 200 (Cfr. Circolare 29 maggio 2013, n. 18/E, par. 6.25). Ad essa si accompagnano l’imposta di bollo, nella misura di euro 156 o 300, a seconda che l’atto sia anche da trascrivere in Conservatoria, e, se dovute, le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di euro 200 (rispettivamente in base agli artt. 4 Tariffa e 10, co. 2, TUIC) e la tassa ipotecaria di euro 90.
Si precisa che il conferimento di azienda andrà autonomamente denunciato presso il competente Registro delle Imprese anche sotto forma di cessione, per cui andranno ulteriormente corrisposti i diritti di segreteria di euro 30 ed il bollo in entrata.
10.2. Cessioni di Azienda
La cessione di azienda è, per una scelta discrezionale del Legislatore, operazione non soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 2, co. 3, lett. b), DPR 633/1972, cosicché essa è sempre soggetta all’imposta di registro indipendentemente dalla natura del soggetto cedente.
L’imposta di registro si calcola con un’aliquota variabile a seconda della natura dei beni che compongono il compendio aziendale, per ciascuno dei quali, quindi, andrà indicato il corrispondente valore ai sensi dell’art. 23, co. 1, TUR, pena l’applicazione dell’aliquota più elevata.
Le aliquote sono quelle indicate dalla TPI TUR e, quindi, dal suo art. 1 (9% o 15%) per gli immobili aziendali, dal successivo art. 2 (3%) per i beni mobili e per l’avviamento, ed, infine, dall’art. 6 (0,5%) per i crediti.
La base imponibile è individuata dall’art. 51, co. 2, TUR nel valore venale in comune commercio o, se superiore, nel prezzo di cessione (si precisa che, anche qualora l’azienda abbia una componente immobiliare, non è possibile richiedere l’applicazione del meccanismo del “prezzo-valore”: in tal senso la Circolare n.6/E/2007).
Il valore dell’azienda è determinato assumendo quello complessivo dei beni che la compongono, incluso l’avviamento, senza tener conto dei natanti (che sono soggetti all’art. 7 TPI TUR e per cui si paga un’imposta in misura fissa in ragione della loro lunghezza) e dei veicoli (che sono esenti dall’imposta di registro ai sensi dell’art. 11-bis della Tabella allegata al TUR).
Tale valore è determinato al netto delle passività che il cedente si sia obbligato ad estinguere, per la semplice ragione che esse si pongono al di fuori del compendio aziendale ceduto. Diversamente, i debiti che il cessionario si sia assunto, invece, dovranno imputarsi a tutti i beni che compongono l’azienda, diminuendone proporzionalmente il rispettivo valore (cfr. art. 23, co. 4, TUR), purché di esso si dia separata indicazione. A tale fine, è necessario che si tratti di passività inerenti all’azienda, ossia di debiti assunti in funzione dell’attività di impresa, non quelli personali dell’imprenditore, e che risultino dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa. Sotto il profilo operativo, dunque, è preferibile che il prezzo di cessione non indichi i debiti che il cessionario si sia assunto, in quanto, in caso contrario, si avrà un incremento della base imponibile (Cfr. Studio Cnn 99-2017/T, pubblicato in CNN Notizie del 27 novembre 2017 e l’articolo apparso su Federnotizie del 12 marzo 2018). Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale (cfr. Cassazione n. 22099/2016; cfr., altresì, Cassazione, ordinanza 11 gennaio 2022, n. 539) l’accollo dei debiti aziendali da parte del cessionario è considerato alla stregua di una modalità di pagamento del prezzo di cessione, con la conseguenza che l’imposta di registro dovrà calcolarsi anche sull’importo dei debiti “trasferiti”. Si ricordi poi che l’amministrazione finanziaria ha facoltà di rettificare la base imponibile, accertandone un maggior valore.
Ai fini di una migliore comprensione di quanto riferito nel testo si faccia l’esempio di una cessione di azienda il cui valore netto sia di euro 100.000, con debiti che il cedente si è impegnato ad estinguere di euro 10.000 e con debiti assunti dal cessionario di euro 20.000. E’ evidente che se si dovesse indicare in euro 120.000 il valore complessivo del compendio aziendale ceduto, l’imposta di registro dovrebbe corrispondersi su tale ultimo valore anche qualora il prezzo di cessione sia pari ad euro 100.000.
Oltre all’imposta di registro, sono dovute le imposte ipotecaria e catastale di euro 50 l’una qualora il compendio aziendale abbia anche una componente immobiliare, applicandosi alla fattispecie l’art. 10, co. 3, del D. Lgs. 23/2011, nonché l’imposta di bollo di euro 45 per la componente mobiliare.
L’iscrizione dell’atto presso il competente Registro delle imprese è soggetto all’imposta di bollo “in entrata” in misura variabile a seconda dei soggetti coinvolti (euro 65, 59 o 17,5 a seconda che almeno una di essi sia una società di capitali, una società di persone o vi siano solo imprenditori individuali) e ai diritti camerali di euro 30.
10.2.1. Cessione di azienda in favore di ETS
L’Agenzia delle Entrate (Risposta ad Interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 276/2020, pubblicata in Cnn Notizie n. 157 dell’1 settembre 2020) ha ritenuto che alla cessione di azienda con componente immobiliare in favore di un ETS non possa applicarsi l’agevolazione prevista dall’art. 82, comma 4, CTS, in quanto riferita ai soli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari a titolo oneroso e non alla fattispecie in commento.
10.2.2. Cessione di azienda in favore di piccole imprese costituite da lavoratori in forma di società cooperative
L’articolo 1, co. 272, della Legge n. 178 del 2020 (Legge di Bilancio 2021) ha previsto delle agevolazioni consistenti nell’esclusione dell’imposta di donazione, ai sensi dall’art. 3, comma 4-ter, TUS, e nell’applicazione regime di neutralità fiscale ai fini delle imposte dirette, ai sensi dell’art. 58 TUIR, alle cessioni di azienda di cui all’articolo 23, comma 3- quater , del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni 765 dalla L. 7 agosto 2012 n. 134, ovvero alle cessioni (o affitti) di azienda, effettuate con le finalità di salvaguardare l’occupazione e la continuità aziendale, in favore di piccole imprese costituite, in forma di società cooperativa, dai lavoratori provenienti dalle medesime aziende.
I criteri e le modalità per l’accesso ai benefici sono stabiliti dal Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 17 febbraio 2023, che precisa che le agevolazioni in materia di imposte indirette (esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni ai sensi dell’art. 3, co. 4-ter, TUS) si applicano alle cessioni effettuate a titolo gratuito da imprenditori individuali in favore di piccole imprese, come definite nell’allegato I al Regolamento UE n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo della società cooperativa per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso.
10.3. Affitto di azienda
L’affitto di azienda commerciale può essere soggetto all’imposta di registro o rientrare nel campo di applicazione dell’IVA.
– E’ soggetto all’imposta di registro, allorquando il locatore non sia un soggetto passivo IVA ovvero quando perda tale qualifica in ragione dell’affitto medesimo (l’esempio tipico è quello dell’imprenditore individuale che affitti l’unica azienda di cui sia titolare; cfr. Circolare Ministeriale 19 marzo 1985 n. 26, par. 11, lett. c.). In tal caso, l’affitto di azienda commerciale rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 9 TPI TUR, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale non soggetto ad una specifica disciplina legislativa.
Conseguentemente, la registrazione dell’affitto sconterà l’imposta calcolata con l’aliquota del 3% sulla base imponibile rappresentata dalla somma dei canoni convenuti per l’intera durata del contratto (cfr. art. 43, lett. h), TUR), con un minimo di euro 200, nonché l’imposta di bollo da corrispondersi nella misura forfettaria residuale di euro 45. A tali importi, devono aggiungersi i diritti camerali di euro 30 e l’imposta di bollo dovuta “in entrata” per i connessi adempimenti al Registro delle Imprese.
Il trattamento tributario non muta allorquando l’azienda si componga anche di beni immobili, salvo che l’affitto non si prolunghi per oltre un novennio, nel qual caso si renderà necessaria la trascrizione dell’atto, così che, oltre all’imposta forfettaria di bollo dovuta nella misura di euro 155, si aggiungeranno l’imposta ipotecaria di euro 200 e la relativa tassa di euro 35.
– In tutti gli altri casi, l’affitto di azienda rientra nel campo di applicazione dell’IVA, trattandosi di prestazione di servizi ai sensi dell’art. 3, co. 2, n. 1), del DPR 633/1972.
Pertanto, l’affitto di azienda stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata sconterà l’imposta di registro in misura fissa di euro 200, in virtù del principio di alternatività, e l’IVA al 22% sui canoni, oltre all’imposta di bollo in misura forfettaria residuale di euro 45. Si applicano anche in questo caso gli importi di cui sopra per l’esecuzione dei connessi adempimenti camerali e la maggiorazione delle imposte quando il contratto di affitto sia da trascrivere. Secondo una certa giurisprudenza di merito, la clausola penale apposta ad un contratto di affitto di azienda non sconterebbe alcuna ulteriore imposta ai sensi dell’art. 21, co. 2, TUR.
In caso di affitto di azienda con componente immobiliare “prevalente” l’art. 35, co. 10-quater, del D.L. 223/2006 prevede che le disposizioni in materia di imposte indirette previste per la locazione di fabbricati si applicano, se meno favorevoli, anche per l’affitto di aziende il cui valore complessivo sia costituito, per più del 50 per cento, dal valore normale di fabbricati, determinato ai sensi dell’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
L’art. 35, co. 10-quater, del D.L. 223/2006 contiene una disposizione di carattere antielusivo in virtù della quale, il contratto di affitto di un’azienda, il cui valore complessivo (comprensivo anche dell’avviamento) sia costituito per più del 50% dal valore normale dei fabbricati che la compongono, è soggetto alla disciplina della locazione di fabbricati qualora il relativo trattamento tributario risulti più favorevole all’Amministrazione finanziaria.
Secondo l’interpretazione prevalente, la comparazione ai fini dell’individuazione della disciplina più gravosa prescinde da qualsiasi considerazione in ordine agli effetti dell’eventuale regime IVA applicabile alla locazione o all’affitto, sia in termini di imponibilità della fattispecie che relativamente alle detrazioni spettanti alle parti del contratto. In conseguenza di ciò, la comparazione opera solo sul piano dell’imposta di registro dovuta e, pertanto, la disciplina portata dal c.d. “Decreto Bersani” troverà applicazione solo quando il contratto di affitto di azienda rientri nel campo di applicazione dell’IVA. Infine, secondo una certa interpretazione giurisprudenziale, l’onere della prova circa la non applicabilità della norma in commento alla fattispecie negoziale resterebbe in capo ai contribuenti.
Essendo richiamata la disciplina della locazione di immobili, al contratto di affitto di azienda con componente immobiliare “prevalente” soggetto ad IVA dovrebbe applicarsi l’art. 17 TUR (in ordine alle possibilità di esecuzione della registrazione con pagamento annuale della relativa imposta e non per l’intera durata).
10.3.1. Affitto di azienda agricola
L’affitto di azienda agricola (ossia del terreno avente destinazione agricola con relative pertinenze) è esente da IVA ai sensi dell’art. 10, co. 1, n. 8), DPR 633/1972 e, in deroga al principio di alternatività (cfr. art. 40, co.1, TUR), sconta l’imposta di registro proporzionale con l’aliquota dello 0,5%, ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. a), TPI TUR, sulla somma dei canoni pattuiti per l’intera durata del contratto, con un minimo di euro 67 (cfr. Nota II all’art. 5 TPI TUR).
Si aggiungono le imposte di bollo, nella misura di euro 155, ed ipotecaria, nella misura di euro 200, nonché la relativa tassa di euro 35, saranno dovute in caso (di durata ultranovennale e quindi) di trascrizione del contratto; in caso contrario si sconterà solo l’imposta di bollo nella misura residuale di euro 45.
10.4. Fusioni, scissioni e conferimenti di azienda effettuati da società ed enti
Ai sensi dell’art. 4, co. 1, lett. b), TPI TUR, sono soggette all’imposta di registro in misura fissa di euro 200 gli atti di fusione e scissione tra società. All’imposta di registro si associa l’imposta di bollo dell’importo di euro 156.
L’imposta fissa di registro è dovuta anche quando l’incorporante o la società di nuova costituzione nella fusione “propria” o, infine, la società beneficiaria della scissione “acquisisca” la proprietà o altri diritti reali su beni immobili, in ragione della natura modificativa e non traslativa delle dette operazioni straordinarie. A tale imposta di registro devono però aggiungersi l’imposta di bollo di euro 225, le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di euro 200 l’una (cfr. artt. 4 della Tariffa e 10, co. 2, TUIC) e la tassa ipotecaria di euro 90.
Identico trattamento tributario è riservato, ai sensi della norma in commento, per i conferimenti di aziende o suoi rami fatti da una società (in ciò la differenza rispetto alla precedente lettera a), n. 3) ad altra società esistente o da costituire, fatta eccezione per la misura del bollo che diviene di euro 300.
Infine, l’art. 4, co. 1, lett. b), TPI TUR estende la disciplina finora analizzata anche alle fusioni, scissioni e ai conferimenti di compendi aziendali posti in essere da enti diversi dalle società, purché abbiano per oggetto esclusivo o principale l’attività commerciale o agricola (cfr. art. 4, co. 1, TPI TUR). In caso differente, ossia quando gli enti non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio delle dette attività, le operazioni di fusione e scissione rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 9 TPI TUR, con conseguente pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale del 3%. (cfr. Circolare 29 maggio 2013, n. 18/E, par. 6.31 e 6.32, che richiama i precedenti orientamenti espressi con le Risoluzioni 15 aprile 2008 n.152 e 28 giugno 2010 n. 61; cfr. anche Risoluzione 11 gennaio 2019 n. 2/E, pubblicata in CNN Notizie n. 8 del 16 gennaio 2019, che ha confermato che l’aliquota applicabile all’operazione sia del 3% ai sensi dell’art. 9 TPI TUR da applicare su una base imponibile costituita dal “valore – determinato alla data di efficacia giuridica della fusione – dei beni e dei diritti, compresi i beni immobili, assunti al netto delle passività, iscritti nel patrimonio della sola fondazione incorporata”; inoltre, nella detta Risoluzione, l’Agenzia delle Entrate afferma che, se vi sono beni immobili nel patrimonio dell’incorporata, occorre avere riguardo al loro valore venale in comune commercio, ai sensi dell’art. 51, co. 2, TUR, e corrispondere altresì le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di euro 200 ai sensi degli artt. 4 Tariffa e 10, co. 2, TUIC; si precisa che tale impostazione non trova il consenso del Cnn, secondo cui le operazioni straordinarie comportano unicamente un mutamento organizzativo che non è indice di capacità contributiva, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa di euro 200 ai sensi dell’art. 11 TPI TUR: cfr. Studio CNN del 16 gennaio 2019 – Prassi Interpretative – che richiama l’orientamento già espresso con la Risposta a quesito 524-2014/T; Cfr. anche Cassazione, ordinanza 11 novembre 2021 n. 33312, sez. V pubblicata in Cnn Notizie n.225 del 3 dicembre 2021, che ha chiesto alle SS.UU. della Suprema Corte di pronunziarsi sull’interpretazione della lettera b) dell’art. 4, co. 1, TPI TUR e, precisamente, se la condizione dell’oggetto esclusivo o principale di un’attività commerciale o agricola si applichi anche alle società e non soltanto agli enti diversi dalle medesime. Si riscontra, infatti, un orientamento dell’Agenzia delle Entrate volto a ricondurre nell’alveo dell’art. 9 TPI TUR le operazioni straordinarie ed, in particolare, le scissioni, che interessino società semplici di “mero godimento” immobiliare. Le SS.UU., con la sentenza del 25 luglio 2022 n. 23051, annotata in Cnn Notizie n. 150 dell’8 agosto 2022, basando il proprio convincimento sull’interpretazione letterale del testo normativo, hanno affermato il seguente principio di diritto: “l’atto di scissione relativo a società semplici è assoggettato, ex art. 4 Tariffa Parte Prima, all. d.P.R. 131/86, ad imposta di registro in misura fissa, dal momento che il requisito normativo dell’oggetto esclusivo o principale di natura commerciale o agricola non concerne le società ma soltanto gli enti diversi da queste”)
10.5. Le cd. “cessioni spezzatino” e gli ulteriori sviluppi giurisprudenziali
Tra le ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza di legittimità hanno più di frequente applicato l’orientamento sopra descritto volto a dare prevalenza alla sostanza sulla forma vi è quella della cessione frazionata di azienda, anche definita “cessione spezzatino”. Si tratta, nello specifico, di vendite di singoli beni aziendali eseguite a più riprese in favore del medesimo acquirente, che sono soggette ad IVA e che, soprattutto, hanno il vantaggio per l’acquirente di poter detrarre l’imposta versata ai sensi dell’art. 19, co. 1, DPR 633/1972. Tali operazioni, se funzionalmente e cronologicamente collegate, possono realizzare oggettivamente gli effetti di una cessione di azienda, che è fuori campo IVA, è soggetta all’imposta di registro e non dà diritto ad alcuna detrazione di imposta. L’art. 20 TUR, nella sua formulazione attuale, rende illegittima nell’ordinamento giuridico nazionale l’attività riqualificatoria dell’Agenzia delle Entrate, ma potrebbe determinare un’applicazione non uniforme del diritto dell’Unione Europea in materia di IVA e delle connesse fattispecie di detrazione.
Bibliografia essenziale
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– Casanova, Impresa e azienda, Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli, UTET, X-1, 1, 1974
– M. Cian, Dell’azienda, Commentario al codice civile fondata da P. Schlesinger e diretta da F. Busnelli, artt. 2555 – 2642, Giuffrè, 2018; Id. artt. 2555 e segg., Commentario breve al codice civile diretto da G. Cian e A. Trabucchi, CEDAM, 2021
– Colombo, L’azienda e il mercato, Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, CEDAM, 1979
– Cottino, Diritto Commerciale, I, CEDAM, 1991
