Commento alla sentenza Corte Cost. n. 119/2023 in tema di usi civici

L’importante sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 2023 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017, in quanto in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo comma, Cost., nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati, con ciò accogliendo le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con due ordinanze di identico tenore iscritte ai numeri 114 e 127 del registro ordinanze 2022, depositate rispettivamente il 28 marzo e il 9 maggio 2022, dal Tribunale ordinario di Viterbo, sezione civile, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare.


La sentenza evidenzia la diversità di regime prescritto dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 (sul riordinamento degli usi civici) per le terre private gravate da usi civici e le “terre appartenenti alle collettività”, riferendo l’inalienabilità solo a queste ultime, e l’art. 3, comma 3, della legge 20 novembre 2017, n. 168, che, nel suo tenore letterale, invece, sembrava estendere il regime di inalienabilità a tutti i domini collettivi, comprendendo le terre private gravate da usi civici.
In verità, tale ultima legge, come rilevato anche dal rimettente, all’art. 3, comma 2, qualifica demanio civico le categorie di beni elencate al comma 1 dell’art. 3, lett. a), b), c), e) e f), escludendo espressamente la lett. d) che riguarda i beni privati gravati da uso civico, ma in maniera del tutto contraddittoria, sembra assoggettare anche tali terreni privati al regime di inalienabilità assoluta.
L’art. 3 della l. 168/2017 prevede: <<1. Sono beni collettivi:
a) le terre di originaria proprieta’ collettiva della generalita’ degli abitanti del territorio di un comune o di una frazione, imputate o possedute da comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate;
b) le terre, con le costruzioni di pertinenza, assegnate in proprieta’ collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione, a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato su terre di soggetti pubblici e privati;
c) le terre derivanti: da scioglimento delle promiscuita’ di cui all’articolo 8 della legge 16 giugno 1927, n. 1766; da conciliazioni nelle materie regolate dalla predetta legge n. 1766 del 1927; dallo scioglimento di associazioni agrarie; dall’acquisto di terre ai sensi dell’articolo 22 della medesima legge n. 1766 del 1927 e dell’articolo 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione;
d) le terre di proprieta’ di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati;
e) le terre collettive comunque denominate, appartenenti a famiglie discendenti dagli antichi originari del luogo, nonche’ le terre collettive disciplinate dagli articoli 34 della legge 25 luglio 1952, n. 991, 10 e 11 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97;
f) i corpi idrici sui quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici.
2.I beni di cui al comma 1, lettere a), b), c), e) e f), costituiscono il patrimonio antico dell’ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico.
3.Il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell’inalienabilita’, dell’indivisibilita’, dell’inusucapibilita’ e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale (omissis)>>.


Il Tribunale di Viterbo desume da tale ultima norma che la lettera della legge non permetterebbe di accedere a interpretazioni alternative della disposizione censurata, <che consentano di escludere dall’applicazione dell’art. 3 comma 3 della legge 168/17 i beni di cui alla lettera d) del comma 1 della predetta disposizione> e quindi reputa violato il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché vengono disciplinate <in modo eguale situazioni giuridiche differenti>. In particolare, l’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 assoggetterebbe al medesimo regime di inalienabilità sia la proprietà privata gravata da usi civici, di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), della predetta legge, <sia i domini collettivi costituenti il demanio civico ex art. 3, comma 2 della legge n. 168/2017>. Tuttavia, l’inalienabilità sarebbe giustificata solo il demanio civico, trattandosi di terre appartenenti alla collettività e non per le <terre private gravate da uso civico>.
Ancora, il rimettente ritiene che il citato art. 3 sia lesivo del <regime di proprietà privata sancito dall’art. 42> Cost, sempre poiché per i beni su cui insistono usi civici in re aliena non sussisterebbero <ragioni di tutela della collettività che giustifichino la compressione del diritto di proprietà impedendone la circolazione, in assenza della preventiva conclusione del procedimento di liquidazione>, non interferendo con la permanenza e l’esercizio del diritto d’uso civico neppure l’alienazione del bene gravato. Conseguentemente, l’equiparazione del regime circolatorio delle terre private gravate da uso civico a quello previsto per i domini collettivi svilirebbe finanche il contenuto del diritto di proprietà, limitandone l’esercizio ed equiparandolo a quello delle terre pubbliche, ontologicamente sottratte alla circolazione per i caratteri loro propri.
La Consulta, innanzitutto, precisa la <persistente vigenza> della legge 176 del 1927 e relativo regolamento di attuazione, per poi passare ad una sua analisi. Qui viene precisato che detta disciplina si proponeva un’opera di riordino della materia degli usi civici, rivolta precipuamente a <dirimere i rapporti fra proprietà privata e usi civici> sulla base della fondamentale dicotomia fra iura in re aliena, quali gli usi civici che gravano sulla proprietà privata, e iura in re propria, quali i demani civici.
Viene giustamente evidenziato che, quanto al regime dei beni, la legge n. 1766 del 1927 non assoggetta ad alcuna particolare regolamentazione la proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati, occupandosi piuttosto del regime delle cc.dd. proprietà collettive o demani civici, e precisamente sia dei demani civici originari, sia dei demani civici divenuti tali a seguito di liquidazione. Com’è noto, infatti, la legge del 1927 opera una distinzione fondamentale tra terreni di categoria “a”convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente e terreni di categoria “b” convenientemente utilizzabili per la coltura agraria (art. 11), disponendo un regime limitatissimo di alienazione solo per i primi, i quali, infatti, sono alienabili solo a seguito dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 12, comma 2, della legge n. 1766 del 1927.
Con riferimento ai cc.dd. demani civici derivati (in contrapposizione a quelli originari), ovvero divenuti tali a seguito di c.d. quotizazione (o ripartizione) del terreno in unità fondiarie (art. 13), con loro attribuzione alle famiglie di coltivatori a titolo di enfiteusi (art. 19) e con l’obbligo di apportare migliorie che condizionano la possibile affrancazione del fondo (art. 21), viene dato conto della loro equiparazione, quanto all’inalienabilità, rispetto ai demani civici originari. Viene infatti richiamata la previsione dell’art. 21, comma 3 della legge del 1927, secondo cui le unità fondiarie non possano <essere divise, alienate o cedute per qualsiasi titolo> prima della loro affrancazione.
Il coordinamento della legge n. 1766/1927 con la successiva legge n. 168/2017 è molto suggestivo in alcuni passaggi, soprattutto laddove viene evidenziato che <la bipartizione fra iura in re aliena e iura in re propria, che domina la legge n. 1766 del 1927 e il relativo regolamento, permane anche nella legge n. 168 del 2017>.
Tanto chiarito, la sentenza analizza il rapporto dell’art. 3 della legge n. 168/2017 con l’art. 42 Cost. Rilevando che laddove l’art. 3, comma 1, lettera d), qualifica come beni collettivi le terre di proprietà privata e attribuisce a tali beni, in virtù del comma 3, il regime di inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e perpetua destinazione, non intende affatto riferirsi al solo contenuto e ai tratti tipici dei diritti di uso civico, ma vuole specificamente rivolgersi alla proprietà privata, plasmando il suo regime sulle esigenze della destinazione impressa sul bene dalla presenza del diritto collettivo, rendendo la proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati inalienabile in rottura con la precedente disciplina ed in contrasto con i principi costituzionali di cui all’art. 3 e 42 Cost., oltre che, evidentemente, con la legge n. 1766/1927. Nello specifico, le ragioni di salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, attratte nella funzione sociale, si realizzino semplicemente preservando la piena tutela degli usi civici, in quanto essi stessi assicurano, grazie anche al vincolo paesaggistico, la conservazione della destinazione paesistico-ambientale del territorio, ma tale vocazione ambientalistica <non è minimamente intaccata dalla circolazione della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati>, costituendo perciò una simile limitazione alla circolazione un’ingiustificata compressione della proprietà privata.
I diritti di uso civico in re aliena, presentando i tratti propri della realità dell’inerenza, dell’immediatezza, dell’assolutezza e dell’opponibilità erga omnes, sono idonei ad essere opposti a chiunque divenga titolare dell’immobile gravato, risultando perciò irrilevante la circolazione dell’immobile gravato da tali diritti. Per di più, la proprietà privata gravata da usi civici reca con sé il vincolo paesaggistico, prevenendo <modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione> (ex art. 146, comma 1, cod. beni culturali).
In conclusione, viene, in maniera assolutamente condivisibile, rilevato che, circolando usi civici e vincolo paesaggistico unitamente alla proprietà privata, la previsione dell’inalienabilità della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati non presenta alcuna ragionevole connessione logica con la conservazione degli stessi usi civici e (per il loro tramite) con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale, dimostrandosi tale inalienabilità <totalmente estranea alla tutela di interessi generali> e dunque tale da determinare <una illegittima compressione della proprietà privata>. Inoltre, tale illegittima compressione della proprietà privata è <tanto più ingiustificata, in quanto viene introdotta ex novo proprio dalla medesima legge (n.d.a. n. 168/2017), che contestualmente potenzia gli strumenti conformativi della proprietà privata>, attraverso l’ampliamento della funzione di tutela paesaggistica anche a seguito della liquidazione degli usi civici.
La conclusione è, evidentemente, nel senso che l’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 viene dichiarato in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo comma, Cost., nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati.
Il regime di circolatorio degli immobili privati gravati da usi civici in senso stretto, che sono cosa diversa dai demani civici (o proprietà collettive o domini collettivi), ritorna dunque ad essere, senza più dubbi, quello previsto dalla legge n. 1766/1927, che non contiene alcuna limitazione espressa all’alienazione dell’immobile gravato da uso civico, essendo cosa nettamente distinta il diritto d’uso civico in se, rispetto al bene che ne è gravato.

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