La Cessione volontaria
L’art. 45 del T.U.E (Testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità, D.P.R. 327/2001) disciplina la cessione volontaria, che costituisce un modo di acquisto della proprietà affine al modello contrattuale della compravendita (come consentito alla P.A. ex art. 11 l. 241/1990), ma comportante un acquisto a titolo originario e non derivativo della proprietà.1
L’art. 45 TUE così dispone: <<Art. 45. Disposizioni generali
1. Fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell’opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell’espropriazione l’atto di cessione del bene o della sua quota di proprietà. (comma così modificato dal d.lgs. n. 302 del 2002)
2. Il corrispettivo dell’atto di cessione: (comma così modificato dal d.lgs. n. 302 del 2002)
a) se riguarda un’area edificabile, è calcolato ai sensi dell’articolo 37, con l’aumento del dieci per cento di cui al comma 2; (lettera così modificata dall’articolo 2, comma 89, legge n. 244 del 2007) b) se riguarda una costruzione legittimamente edificata, è calcolato nella misura venale del bene ai sensi dell’articolo 38; c) se riguarda un’area non edificabile, è calcolato aumentando del cinquanta per cento l’importo dovuto ai sensi dell’articolo 40, comma 3; d) se riguarda un’area non edificabile, coltivata direttamente dal proprietario, è calcolato moltiplicando per tre l’importo dovuto ai sensi dell’articolo 40, comma 3. In tale caso non compere l’indennità aggiuntiva di cui all’articolo 40, comma 4.
3. L’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l’acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato.
4. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del capo X>>.
La cessione volontaria può intervenire tra due precisi momenti: la dichiarazione di pubblica utilità (dies a quo) e la data di esecuzione del decreto di esproprio (dies ad quem).
La Cessione volontaria è ritenuta contratto di diritto pubblico sostitutivo di provvedimento ex art. 11 L. n. 241/1990,3 tant’è che “produce gli effetti del decreto di esproprio” (art. 45 co. 3 T.U.) e si caratterizza per la predeterminazione ex lege del corrispettivo, non essendo ammessa una contrattazione sul corrispettivo.4 Peraltro, la giurisprudenza ha ritenuto, nell’ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità mancante o inefficace, riqualificabile l’accordo di cessione volontaria come contratto di compravendita annullabile per errore di fatto sui motivi, ma non nullo per difetto di causa.5
Nonostante la specifica natura del negozio in esame, è stata tuttavia ritenuta legittima una contrattazione preliminare avente ad oggetto un’area che in futuro passibile di un provvedimento ablatorio, e tale contrattazione è stata ritenuta rientrante nell’ambito dei contratti privatistici, con conseguente libertà nella determinazione del corrispettivo ed effetti.6
Legittimato alla stipula per lente beneficiario dell’espropriazione si ritiene il dirigente dell’ufficio espropriazioni (6. co. 7 TUE) e naturalmente anche la cessione volontaria, come il decreto di esproprio andrà trascritta.2
La c.d. Occupazione usurpativa e l’Occupazione acquisitiva,
Talora anche dette espropriazione acquisitiva\invertita, questi istituti prevedono che il provvedimento ablatorio venga emanato successivamente all’illecita occupazione del bene privato. Tuttavia, come si avrà modo di vedere, tali procedure, originariamente di creazione giurisprudenziale e poi positivizzate in alcune norme, tra cui, in primis l’art. 43 TUE, sono state censurate definitivamente ed espunte dal nostro ordinamento giuridico, che oggi invece ammette il solo diverso istituto della cd. acquisizione sanante ex art. 42 bis TUE.
L’accessione invertita dell’area (o occupazione acquisitiva) è il fenomeno giuridico che determina l’acquisto di un immobile di un privato da parte della pubblica Amministrazione a titolo originario, per effetto della realizzazione di un’opera pubblica, anche in assenza di un valido decreto di esproprio. Tale fenomeno acquisitivo della proprietà presuppone che l’area sia stata occupata senza titolo, il che può aversi: 1) per totale mancanza del provvedimento di occupazione, o 2) per l’illegittimità del provvedimento di occupazione (ad esempio per mancata indicazione nello stesso dei termini previsti dalla legge, oppure perché al termine dell’occupazione illegittima non è intervenuto il regolare provvedimento ablatorio), oppure 3) perché siano stati annullati gli atti del procedimento di espropriazione o di occupazione.
L’istituto dell’occupazione usurpativa, pur molto simile alla cd. accessione invertita, se ne discosterebbe, perché l’occupazione usurpativa, ferma restando l’apprensione del bene, difetterebbe della dichiarazione di pubblica utilità (in quanto del tutto mancante, o successivamente annullata, o con termini scaduti); ciò con la conseguenza di non determinare alcun effetto acquisitivo della proprietà e di lasciare dunque impregiudicata la possibilità per il privato di ottenere o un risarcimento per equivalente, oppure la restituzione dei beni.
La recente giurisprudenza ha ormai privato le figure in esame di ogni utilità per il soggetto espropriante, sancendo che tali istituti non determinano l’estinzione del diritto del proprietario ed al contempo la Corte Costituzionale (sent. n. 293/2010) ha dichiarato incostituzionale l’art. 43 del T.U. in materia di espropriazioni, che legittimava l’accessione invertita. Tuttavia, a parziale soluzione del quadro testè delineato è intervenuto il nuovo istituto della cd. acquisizione sanante, oggi disciplinato dall’art. 42 bis del T. U. in materia di espropriazioni (Introdotto dall’art. 34 Dl. n. 98/2011), già passato al vaglio della Corte Costituzionale con esito positivo (C. Cost. sent n.71/2015).7
La cd. Acquisizione Sanante
L’istituto è attualmente disciplinata dall’art. 42 bis D.P.R. n. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. in materi di espropri), secondo cui: <<1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene […] 6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia. […] 8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo>>.
La cd. acquisizione sanante, dunque, consente, anche in assenza di un provvedimento di esproprio valido ed efficace e di un provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, l’acquisizione non retroattiva delle aree nei casi in cui l’ente espropriante abbia utilizzato un bene immobile (ed esempio un’area edificabile) per scopi di interesse pubblico (quali ad esempio l’edificazione di alloggi di edilizia residenziale convenzionata) ed in attuazione di tali scopi l’immobile venga modificato. L’appropriazione acquisitiva viene pronunciata con un decreto ed a titolo di ristoro del pregiudizio subito, al proprietario dell’immobile deve essere corrisposto un indennizzo liquidato in una percentuale del valore venale del bene, che, in ambito di edilizia residenziale pubblica è pari al “venti percento del valore venale del bene” [art. 42 co. 5 D.P.R. 327/2001]. Inoltre tale corrispettivo costituisce condizione sospensiva dell’efficacia del decreto di acquisizione.
Va altresì evidenziato che tale istituto ha carattere eccezionale e per questo il provvedimento deve essere corredato da un’adeguata motivazione in riferimento alle “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”, che consenta anche un vaglio da parte della Corte dei Conti, a cui il provvedimento a comunicato.8
Dal punto di vista della disciplina l’art. 42 bis diverge dall’abrogato art. 43 sotto una pluralità di profili. In primo luogo, l’acquisto della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute al privato entro il termine di trenta giorni. Inoltre, l’espropriazione postuma costituisce una extrema ratio percorribile solo laddove non vi siano ragionevoli alternative. Difatti, ciò si evince anche dall’obbligo in capo alla P.A. di una motivazione rafforzata in ordine ad attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico.
La divergenza di maggior spessore è insita nella circostanza che, mentre l’art. 43 T.U. stabiliva l’acquisto attraverso una eccezione processuale sanante l’illecita occupazione, l’art. 42 bis sancisce che la causa dell’acquisto della proprietà si rinviene in un provvedimento autonomo e separato dall’illecito al quale il privato può partecipare presentando le sue osservazioni. In definitiva, si tratta di un provvedimento autonomo, che non sana retroattivamente l’illecito e che, quindi, costituisce il vero titulus e modus adquirendi della proprietà in capo alla amministrazione espropriante.
Dal punto di vista risarcitorio, l’art. 42 bis stabilisce che l’autorità espropriante deve corrispondere un indennizzo patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfettariamente liquidato nella misura del 10 % del valore venale del bene. Inoltre, viene corrisposto a titolo di risarcimento un interesse del 5 % annuo sul valore venale del bene per il periodo di occupazione senza titolo.
La Corte Costituzionale nella su citata sentenza del 2015 ha evidenziato che l’art. 42 bis introduce un peculiare procedimento semplificato di espropriazione che assorbe sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, così sintetizzando uno actu lo svolgimento dell’intero inter procedimentale. Nel dettaglio, la Corte sostiene che l’art. 42 bis risulta immune dai paventati vizi di legittimità costituzionale proprio sull’ontologica diversità dal previgente art. 43. Invero, l’art. 42 bis, a differenza dell’abrogato art. 43, non trova il suo fondamento nell’illecita occupazione del bene bensì nel successivo provvedimento di esproprio che costituisce il fondamento giuridico dell’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile della P.A.
In altri termini, la fattispecie contemplata dall’art. 42 bis si configura alla stregua di una espropriazione diretta seppur semplificata nella forma, che trova nell’illecita occupazione il mero presupposto storico e nel successivo provvedimento ablativo il fondamento giuridico dell’acquisto della proprietà. Infatti, il provvedimento ex art. 42 bis non opera retroattivamente sanando l’illecito, ma tutela l’interesse pubblico secondo una logica di stretta attualità.
La Corte Costituzionale, inoltre, sottolinea come le garanzie di stretta legalità della CEDU vengono ampliamente soddisfatte in quanto l’art. 42 bis offre: piena tutela sostanziale poiché il provvedimento di esproprio si pone quale extrema ratio dell’azione amministrativa; tutele procedimentali derivanti dalla possibilità del privato di partecipare al procedimento in contraddittorio con la P.A. presentando osservazioni memorie e documenti; garanzie economiche alla luce del ristoro integrale nelle vesti dell’indennità erogata a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale ed il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima.
In definitiva, secondo la Corte Costituzionale l’istituto in questione soddisfa pienamente i canoni di forte legalità ex artt. 6, 7 CEDU in ragione della sua chiarezza, precisione e prevedibilità.
Usucapibilità delle aree9
A questo punto dell’analisi pare ragionevole domandarsi se, nella disciplina in esame, al di fuori delle procedure di acquisizione delle aree fin qui esaminate, possa esservi spazio per una usucapione delle aree su cui sono sorti gli alloggi di edilizia convenzionata e per le quali non ha avuto luogo la regolare procedura di acquisizione da parte del Comune. La questione relativa alla usucapibilità va letta in particolare in due direzioni: a) la possibilità che il Comune usucapisca l’area per effetto del solo possesso, e b) la possibilità che il privato assegnatario dell’alloggio acquisti la piena proprietà dello stesso e quindi anche della relativa area di sedime, laddove la stessa non fosse mai stata acquisita dal Comune, o dal Comune non trasferita ad esso assegnatario. Va subito premesso che i beni demaniali si sogliono ricomprendere tra i beni fuori commercio ex art. 1145 c.c., e pertanto inusucapibili;10 dunque, va da subito esclusa l’usucapibilità dell’area già legittimamente acquisita dal Comune, da parte degli assegnatari degli alloggi. Nel diverso caso di area ancora appartenente all’originario proprietario, occorrerebbe domandarsi se le aree appartenenti a privati, ma divenute oggetto di una convenzione di edilizia pubblica siano usucapibili come ogni altro bene privato, oppure no. All’uopo, secondo un certo orientamento,11 sarebbe necessario distinguere le aree rientranti in mere convenzioni edilizie – quali sono le convenzioni Bucalossi – dalle aree assoggettate a vere e proprie convenzioni urbanistiche – quali sono le convenzioni PEEP. Infatti, solo le aree assoggettate a convenzioni Bucalossi potrebbero ritenersi usucapibili (dagli assegnatari degli alloggi), in quanto beni non rientranti nel patrimonio indisponibili dello Stato; diversamente, secondo quest’orientamento, la stipula di una convenzione PEEP avente ad oggetto l’area, verrebbe ad incidere sulla stessa usucapibilità dell’area, impedendola. Le ragioni dell’asserita inusucapibilità delle aree oggetto di convenzioni PEEP, non andrebbero in ogni caso ravvisate nei limiti alla disponibilità degli alloggi previsti dalle stesse convenzioni, bensì nella soggezione delle aree ad una disciplina di interesse pubblicistico. Infatti, è stato espressamente sancito che l’esistenza di un vincolo di inalienabilità non costituirebbe una ragione di per se stessa ostativa alla possibilità di possedere per poi usucapire il bene inalienabile.12
Infine, con riferimento alla possibilità per lo stesso Comune che non abbia seguito le regolari procedure di acquisizione delle aree, di usucapirle,si esclude che l’istituto dell’usucapione disciplinato dal codice civile possa costituire un’alternativa valida alle modalità di acquisizione delle aree disposte dalle leggi speciali in materia, poiché solo le modalità di acquisizione delle aree apprestate dalle vigenti normative (e non anche l’usucapione) garantiscono un contemperamento degli interessi pubblici e privati.13
<<La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30195, del 20 novembre 2019, ha accolto il ricorso di alcuni contribuenti nei confronti del Comune; per i giudici di legittimità in assenza di una procedura regolare la pubblica amministrazione non può diventare proprietaria del terreno senza corrispondere alcun indennizzo al titolare. Il contenzioso La Corte territoriale confermava la sentenza del Tribunale che aveva disatteso la domanda di risarcimento danni proposta avverso un Comune , per l’occupazione usurpativa dei terreni in loro proprietà disposta con delibera di Giunta, sulla individuazione delle aree per la realizzazione di un programma costruttivo dello Iacp, priva dei termini di inizio e fine alla procedura espropriativa.
Nelle raggiunte conclusioni, la Corte di merito, ferma la natura usurpativa della procedura osservata e l’applicabilità della disciplina privatistica, ha ritenuto il diritto del privato a rivendicare il bene occupato paralizzato, negli effetti, dall’eccezione di usucapione sollevata dal Comune.
I privati cittadini a seguito della disattesa domanda di risarcimento dei giudici della Corte territoriale si sono rivolti alla Cassazione sostenendo , principalmente, che la Corte di merito non avrebbe considerato che l’occupazione di urgenza, per il suo carattere coattivo, fintantoché non interviene il decreto di esproprio o comunque l’ablazione, non priva il proprietario del possesso del bene, ragione per la quale continua a riconoscersi al primo una indennità per l’occupazione.
Per i giudici di legittimità il motivo di ricorso è fondato. Secondo un precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità “In tema o occupazione illegittima, premesso che la condotta illecita della P.A incidente sul diritto di proprietà non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto), l’acquisizione del fondo, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p.u., decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -, occorre l’allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem”, ex art. 1141, comma 2, c.c., cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario – possessore, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (cfr. Cass. civ. n. 10289 del 27 aprile 2018). Per la Cassazione l’affermato principio in discontinuità applicativa di una precedente sentenza che voleva che la P.A. responsabile di un’occupazione illegittima potesse efficacemente eccepire l’usucapione ventennale allo scopo di fare cessare l’illecito permanente e di acquisire senza oneri la proprietà del bene in ragione della cd. retroattività reale propria dell’usucapione (Cass. civ. n. 19294/2006, Cass. civ. n. 3153/1998), si fa carico di più recenti sviluppi normativi della materia e della giurisprudenza sui primi affermatasi. Come quindi ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa l’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante , in quanto “definisce un illecito permanente non vale ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, nel conseguito effetto, altrimenti, di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu” (Cons. di Stato, nn. 3838/2017, n. 329/2016, n. 3988/2015). Anche l’usucapione ventennale (cfr. Cass. civ. n. 22929/2017 e su cui interviene anche SU Cass. civ. n. 735/2015) resta quindi subordinata nella sua integrazione all’evidenza che la P.A. deduca e dimostri in suo favore l’interversione del possesso in discontinuità con il precedente titolo non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso, che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene. Le conclusioni Per la Corte di Cassazione il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello , in altra composizione, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio. Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 27 settembre 2019) 20 novembre 2019, n. 30195 >>
1Così G.M. Antonelli, “L’edilizia residenziale pubblica schemi e soluzioni operative”, Napoli, 2020, p. 73 e segg., Cass. 2 marzo 1999, n. 1730, in Riv. not., 1999, 1223; Cass. 12 maggio 1998, n. 4759; Consiglio Nazionale del Notariato, Ufficio Studi “Dizionario giuridico del notariato: nella casistica pratica”, Milano 2006, p. 189. Naturalmente, non è escluso che una cessione volontari possa essere una permuta, anziché una compravendita, o che comunque un negozio con struttura diversa, PURCHÉ produttivo dell’effetto finale sancito dal citato art. 45 D.P.R. 237/01. Ciò che sarebbe da domandarsi in tali casi è se il negozio sarebbe un semplice negozio traslativo di diritto privato, oppure una cessione volontaria in senso tecnico, dotata dell’efficacia retroattiva prevista dal citato art. 45.
Per una recente disamina della questione: F. Gavioli “Nella richiesta dei danni per l’occupazione illegittima nei confronti del privato il Comune non può sostenere l’acquisizione per usucapione”, tratto da Quotidianopa.leggiditalia.it, 09/12/2019
2Sul tema A.A. Carraba, G. Casu, in “Commentario del Codice Civile – Della Proprietà – Vol. 2 (artt. 869-1099) di A. Jannarelli – F. Macario”, Torino 2011, p. 65 e ss.; S. Sideri, in “L’edilizia convenzionata”, Milano 2018, p. 16, che definisce la cessione volontaria un negozio di diritto privato con finalità pubblica, posto in essere tra la Pubblica Amministrazione de un terzo, con conseguente obbligo di rispettare tutta la disciplina relativa ai trasferimenti immobiliari degli atti privati. Cfr. anche Cerasi “Cessione volontaria di aree in corso di espropriazione” – Notariato 1997, p.409.
Quanto al contenuto della cessione volontaria in esame, lo stesso negozio si ritiene debba opportunamente contenere gli elementi essenziali del decreto di esproprio, con esso compatibili e dunque almeno gli estremi dell’atto da cui è sorto il vincolo preordinato all’esproprio, del provvedimento che ha approvato il progetto dell’opera. Così M. Velletri, Studio cit., 24, che aggiunge che <<Non sarà invece necessario inserire le parti, indispensabili nel decreto di esproprio, relative alla determinazione dell’indennità, in quanto questa nell’accordo di cessione è legalmente determinata>>.
3Per parte della dottrina, infatti, la cessione volontaria delle aree doveva essere ricondotta nell’ambito dei negozi di diritto privato (Cfr. Casetta Garrone , Espropriazione per pubblico interesse , voce Enc. Giur., XIII, Roma, 1989 11 ss.; Landi , Espropriazione per pubblica utilità (Principi) , voce in Enc. Giur ., XV, 1966, 830 ss.; Alessi , Alcuni rilievi in tema di accordi amichevoli tra espropriante ed espropriato , nota a Cass. S.U., sent. 30.6.1960, n. 1723, in Giur. It. , 1960, I, c. 22 ss.) , la giurisprudenza e altra parte della dottrina affermavano, al contrario, la natura di negozio di diritto pubblico (Cass. civ., S.U., sent. 30.6.1960 , n. 1723 in Giur. It. , 1960, I, c. 20 ss.; Cass. Civ., Sez. I, sent. 2.3.1999 n. 1730, in Riv. Not. , 1999, p. 1222; Cass. Civ., Sez. I, sent. 21.4.1999, n. 3930, in Giust. Civ ., 1999, I, 2311 con nota di A. Varlaro Sinisi , Sul contratto preliminare di cessione volontaria nel corso della procedura espropriativa ; Cass. Civ., Sez. I, sent. 19.9.1995, n. 9879, in Contr ., 1996, 133; Cass. Civ., Sez. I, 8.11.1989, n. 4695, in Giust. Civ. , 1990, I, 681) , che oggi si ritiene prevalente (G. Petrelli, Atti di cessione volontaria in luogo di espropriazione e imposta di bollo – Studio C.N.N. n. 27 del 10 Maggio 2002, 2, M. Velletti, Studio cit. 23).
4Cass. 14 febbraio 2000 n. 1603, in Riv. not ., 2000, p. 968, con nota di Casu, Riflessioni sulla c.d. Cessione volontaria ; Cass. 7 marzo 1997 n. 2091, in Foro it ., 1997, I, c. 1847; Cass. 16 marzo 1994 n. 2513, in Mass. Foro it., 1994; Cass. 13 giugno 1985 n. 3551, in Foro it. , Rep. 1985, voce Espropriazione per pubblico interesse , n. 215; Cass. 13 giugno 1985 n. 3549, in Foro it ., Rep. 1985, voce Espropriazione per pubblico interesse , n. 216; M. Velletti, Studio. cit., 23, secondo cui <<Come accennato non vi sono spazi per l’autonomia privata in relazione alla determinazione del corrispettivo che è fissato per legge, con la previsione di sostanziali rivalutazioni proprio per incentivare il ricorso alla conclusione negoziale del procedimento. Infatti nel caso di aree edificabili si richiamano i criteri di calcolo dell’indennità previsti per le espropriazioni ma è stabilito che non si applichi l’abbattimento del 40%, per le aree non edificabili è previsto un aumento del 50% dell’indennità di espropriazione, per le arre non edificabili coltivate direttamente dal proprietario è prevista che la normale indennità di espropriazione venga moltiplicata per tre. Solo nel caso di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata il corrispettivo della cessione volontaria coincide con l’entità dell’indennità di espropriazione ed è pari al valore venale del bene.>>
5Cass., Sez. I, sent. N. 1025 del 7.4.1971, in Foro it ., 1971, I, 2754.
6Sul punto cfr . G. alpa e M bessone , Gli accordi amichevoli conclusi nell’ ambito del procedimento ablatorio e la disciplina dell’art. 1 della l.n. 385/1980 , in Riv. Not ., 1981, pagg. 937 ss. Gli autori distinguono tale tipologia di negozio da quello di cessione volontaria definendolo come la volontaria cessione dell’area in previsione dell’espropriazione: “Si ha questa ipotesi quante volte il privato, si determina a trasferire l’area all’A.C. o all’espropriante , sapendo che in futuro si sarebbe iniziato il procedimento espropriativo avente ad oggetto l’area in questione e prima dell’inizio di tale procedimento. Qui l’ accordo ha un contenuto più ampio perché riguarda sia il trasferimento dell’area sia il prezzo dell’immobile ….. La cessione diretta non è rara nella prassi ma non porta particolari problemi rispetto al normale schema di compravendita se non sotto il profilo della legittimità dell’operato dell’amministrazione che ricorra ad un metodo privatistico quando ha la possibilità di procedere all’ esproprio. Si ritiene in genere, che l’amministrazione, salvo i casi in cui deve espropriare possa sempre usare l’alternativa della compravendita purché non paghi un prezzo superiore a quello che pagherebbe in caso di cessione volontaria”.
7Sul tema G. M. Antonelli, “L’edilizia residenziale pubblica schemi e soluzioni operative”, Napoli, 2020, p. 71 e segg.
8G. M. Antonelli, po. Cit, p. 75 e segg.,
9Sul punto G.M. Antonelli, po. Cit., p. 79
10 Cfr. Cass. n. 10817 /2019, Bigliazzi Geri – Breccia – Busnelli – Natoli “Diritti reali”, Torino 1988, p. 394 e ss. e Sacco – Caterina “Il possesso – trattato Cicu – Messineo VII”, Milano 2000, p. 99.
11Sul punto “I trasferimenti immobiliari nell’ambito dell’edilizia convenzionata- Spunti di riflessione a cura del gruppo di studio notarile Learn to life” coordinato dal Notaio Gennaro Fiordiliso, secondo cui: nei « Beni soggetti a convenzioni “BUCALOSSI” l’intento legislativo è quello di agevolare il privato attraverso un contenimento del costo del contributo concessorio alla costruzione attraverso una convenzione edilizia; in materia di beni immobili, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 830 c.c. e art. 828 c.c., comma 2, i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti; i beni in esame non rientrano nel novero del patrimonio indisponibile del Comune, donde la loro usucapibilità».
12In tal senso Cons. Stato 19793/2016, in ordine ad alloggi di edilizia sovvenzionata assoggettati alla Legge 1165/38 «perché il possesso è una situazione di fatto che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, cioè, ad una attività di godimento del bene uti dominus che non può essere impedita da un vincolo di inalienabilità, basti pensare che il legittimo proprietario (la Cooperativa o il condomino) nonostante il vincolo di inalienabilità possiede il bene A sua volta, trattandosi di un vincolo di inalienabilità temporaneo e/o semplicemente condizionato alla sussistenza di talune autorizzazioni, la fattispecie non potrà essere ricondotta alla normativa di cui all’art. 1145 cod. civ. secondocui il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà non ha effetto perché quella normativa, come riconosce la dottrina più attenta, si riferisce ai beni inalienabili in assoluto, che possono identificarsi in genere nei beni incommerciabili e nei beni demaniali, o, comunque, nei beni non suscettibili di essere oggetto di diritti a favore dei privati»
13«Vi è un indirizzo interpretativo fortemente contrario alla usucapibilità in favore dell’amministrazione delle aree da essa abusivamente occupate e irreversibilmente trasformate con la realizzazione di opere pubbliche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4096; id., 26 agosto 2015, n. 3988; id., 3 luglio 2014, n. 3346). A sostegno della tesi sono addotte plurime ragioni, la principale delle quali è rappresentata dall’incompatibilità dell’usucapione al cospetto dell’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, che non tollera alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal perfezionamento di una legittima procedura espropriativa, di un procedimento “sanante” ex art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001, ovvero dal contratto tra le parti » (G.M Antonelli “la circolazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica – Diritto del notariato Trattato diretto da P. Rescigno, E. Gabrielli, F. Gerbo, M. Forcella, G. Terracciano, L. Colizzi, A. Uricchio”, 186 e segg).

Una opinione su "Istituti alternativi all’Espropriazione per pubblica utilità"