Brevi considerazioni a margine della Legge della Regione Sicilia del 2 ottobre 2020 n. 21, in relazione alla vigente disciplina nazionale in tema di Edilizia Convenzionata.
L’art. 5 della legge della Regione Sicilia del 2 ottobre 2020 n. 21 prevede che <<1. I vincoli imposti nella convenzione di cui all’art. 31 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni, riguardanti la determinazione del prezzo di vendita e del canone di locazione o eventuali diritti di prelazione, decadono trascorsi venticinque anni dalla data della stipula della convenzione medesima>>, e si pone in evidente contrasto e superamento dell’interpretazione, fornita dalla giurisprudenza a partire dalla nota sentenza delle SS.UU. Cass. 18135/2015, secondo cui i limiti di prezzo di cui all’art. 35 della L. 865/1971 devono intendersi quali oneri reali con naturale efficacia indefinita. Resta dunque solo da valutare la legittimità di tale legge regionale nell’abito del riparto delle competenze previsto dalla Corte Costituzionale.
E’ comunque fin d’ora opportuno chiarire che a mente dell’art. 6 della citata legge regionale 21/2020, <<Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano, se compatibili, le disposizioni dell’art. 31, commi 45, 46, 47, 48, 49 e 50, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e successive modificazioni>>. Conseguentemente resta invariata anche a livello regionale la disciplina in tema di cc.dd. convenzioni modificative delle convenzioni originarie, di cui all’art. 31 commi 45 e segg. della Legge 448/1998, e resta perciò possibile, in presenza di limiti alla circolazione degli alloggi di edilizia convenzionata, la loro rimozione, così come la trasformazione dell’eventuale diritto di superficie sugli alloggi in diritto di proprietà, o ancora la conversione dell’eventuale originaria convenzione PEEP in convenzione Bucalossi, senza alcuna differenza da quanto previsto a livello nazionale.
Passando all’esame della complessa questione attinente al vaglio di costituzionalità della citata L.R. Sicilia n. 21/2020, va detto che la normativa in esame non pare essere stata direttamente sottoposta al vaglio della Consulta, eppure, alcuni spunti circa una possibile valutazione di costituzionalità pare possano trarsi dalla decisione della Corte Costituzionale, Sentenza n. 493 del 1990 (12/10/2020 Consulta OnLine), relativa al ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana del 31 maggio 1990, con cui sono stati impugnati gli artt. 5 e 10 della legge approvata dalla Assemblea regionale siciliana nella seduta del 24 maggio l990, recante “Interventi per il risanamento delle aree degradate di Messina”, con cui veniva asserita la riconducibilità di tali articoli alla materia della edilizia residenziale pubblica e conseguentemente veniva assunta l’assenza di una specifica attribuzione di competenza legislativa (esclusiva o concorrente) dallo statuto speciale siciliano. Contestualmente, si asseriva anche la violazione dell’art. 3 della Costituzione, assumendosi la previsione di un trattamento di ingiustificato favore per i cittadini partecipanti ai concorsi per l’assegnazione di alloggi popolari del Comune di Messina.
In riferimento al ricorso la Consulta, in tale sede, osservava: <<(omissis) Non appare poi fondato l’altro rilievo, secondo cui sussisterebbe <un principio generale di livello costituzionale, per il quale l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica è, sia quanto a legislazione e/o normazione generale, sia quanto ad amministrazione concreta, di competenza non regionale>. Per quello che attiene al momento amministrativo si osserva che l’art. 5 del d.P.R. 30 luglio 1950, n. 878 (recante norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di opere pubbliche, nel testo sostituito dall’art. 4 del d.P.R. 1o luglio 1977, n. 683) conferisce alla regione <le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato nelle materie attinenti all’edilizia economica e popolare o comunque sovvenzionata>. Nè può riconoscersi fondamento a dubbi sulla natura e sulla portata della norma, specialmente dopo la lettura che ne hanno data alcune recenti pronunce della Corte (sentenze n. 534 e n. 566 del 1988). La difformità della legge regionale dal d.P.R. n. 1035 del 1972, recante norme sulla edilizia residenziale pubblica, non può assumere, poi, di per sè rilievo sotto il profilo della legittimità costituzionale, non essendo rinvenibile nel nostro ordinamento un principio, di rilevanza costituzionale, volto a garantire l’osservanza del requisito di un reddito minimo ai fini dell’assegnazione dell’alloggio, eseguito con contribuzione pubblica. 3.-Altrettanto infondate devono infine considerarsi le censure mosse in riferimento all’art. 3 della Costituzione. Il mancato inserimento dell’anzidetto limite massimo di reddito tra i requisiti prescritti per la collocazione nella graduatoria degli assegnatari di alloggi potrebbe destare perplessità nel contesto degli usuali programmi di edilizia sovvenzionata, che hanno normalmente come scopo principale quello di fornire un’abitazione, ovvero un’abitazione più adeguata, a nuclei familiari che non hanno risorse economiche sufficienti per provvedervi autonomamente. Diverso è il caso della legge impugnata, che, come si è detto, si pone l’obiettivo del completo risanamento di alcune zone del territorio del Comune di Messina, con l’abbattimento e la sostituzione di tutte le abitazioni precarie o degradate ancora esistenti. Se si tiene conto dello stato complessivo di tali zone, della qualità e della funzione delle opere previste dalla legge impugnata, dello stato e della consistenza degli alloggi ivi esistenti, nonchè dello scopo perseguito in generale dalla legge stessa, risulta non irragionevole che, nel richiamare i requisiti previsti dal d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, si introducano alcuni elementi di diversità: la previsione della residenza da almeno tre anni continuativi nelle aree da risanare, evidentemente diretta ad assicurare che l’intervento pubblico si diriga verso nuclei stabilmente insediati, in modo che siano evitate possibili manovre devianti o, addirittura, fraudolente; l’esclusione del requisito del limite massimo di reddito, collegabile, a sua volta, con il carattere organico e globale dell’azione risanatrice (omissis)>>.
Con la sentenza in esame la Consulta ha dunque dimostrato di non considerare totalmente estranea ai poteri legislativi della regione a statuto speciale Sicilia la materia dell’edilizia residenziale pubblica, lasciando presumere che anche la legge regionale n. 21/2020 in esame possa dunque superare il vaglio di costituzionalità.
In chiusura d’analisi, e con riferimento più diretto all’attività notarile va rilevato, da una parte che la normativa vigente ove non espressamente dichiarata incostituzionale va naturalmente applicata, dall’altra però va evidenziato un orientamento della giurisprudenza della Cassazione volto a ritenerele dichiarazioni di incostituzionalità dotate di <<naturale efficacia retroattiva>> (cfr. tra le altre Cass. 5644/2019), con la conseguente necessità di valutare se un’eventuale pronuncia di incostituzionalità possa, secondo questo orientamento, travolgere anche atti stipulati nella vigenza della legge successivamente dichiarata incostituzionale.
Analizzando più nel dettaglio la questione, si rileva che il principio tempus regit actum, regolante la successione nel tempo delle leggi, non è riferibile alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, che, non essendo una forma di abrogazione della legge, ma una conseguenza della sua invalidità originaria, ha efficacia retroattiva, nel senso che investe anche situazioni processuali precedenti alla sentenza di abrogazione – salve l’avvenuta formazione del giudicato e la presenza di preclusioni processuali già verificatesi – in omaggio al principio enunciato dall’art. 136 Cost. (secondo cui “la norma cessa di avere efficacia del giorno successivo alla pubblicazione della decisione”) e dall’art. 30 della legge 11.3.1953 n. 8716 (secondo cui “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”). Infatti, si legge nella Relazione n. 121 del 23 Novembre 2007 della Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo che, secondo i principi generali, l’efficacia retroattiva della pronuncia d’incostituzionalità trova un limite solo in quei casi concreti in cui si siano determinate situazioni giuridiche consolidate ed intangibili, come nei casi di rapporti già definiti, anteriormente alla pronuncia d’illegittimità costituzionale in base a giudicato e ad atti amministrativi non più impugnabili o ad altri atti o fatti, come la prescrizione, di cui siano esauriti gli effetti e che siano rilevanti, sul piano sostanziale e processuale, nonostante l’inefficacia delle norme dichiarate incostituzionali (Cass. 1-12-1986, n. 7109, rv. 449190). Dunque, i rapporti sorti prima della declaratoria di incostituzionalità, sulla base di quella legge po dichiarata incostituzionale, non cadono automaticamente, come non cadono gli atti amministrativi che la presuppongono (ma possono essere annullati a seguito d’impugnazione). La sentenza d’illegittimità, tuttavia, si traduce in un ordine rivolto ai soggetti dell’applicazione (giudici e amministrazione), di non applicare più la norma illegittima: ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano solo i rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti esauriti.
Gian Marco Antonelli
