CIRCOLAZIONE DEI DOMINI COLLETTIVI E DEGLI IMMOGILI GRAVATI DA USI CIVICI
DEFINIZIONI:
Gli usi civici e i domini collettivi sono diritti spettanti ad una collettività (i cosiddetti cives) su determinate terre pubbliche o private, le prime, quelle pubbliche, definite demani civici, in cui aspetti privatistici e pubblicistici vengono a fondersi.
Il Comune svolge la sola funzione di rappresentare la collettività dei cives nell’esercizio del diritto, unitamente agli altri enti esponenziali delle collettività (frazioni di comuni, università ed altre associazioni agrarie comunque denominate) e detiene i beni del cd. demanio civico al solo scopo della loro destinazione alla collettività.
CARATTERI:
Inalienabilità, imprescrittibilità ed inusucapibilità, e immodificabilità della destinazione.
NATURA:
1) demanio civico diritto assimilabile ad una comunione “a mani riunite” → di tipo germanico,
2) terre private -> diritti reali di godimento su bene altrui, tipizzato dalla stessa normativa che prevede e disciplina gli usi civici.
Oggi, si parla di conservazione delle proprietà collettive, governata dall’interesse pubblico alla tutela del paesaggio(cfr. 142 es eg. Dlgs. 42/04), ch forse si attaglia più ai demani civici.
GENESI TERRE PRIVATE:
1) Gli usi civici erano diritti esercitati in tempi molto risalenti dai sudditi di feudatari ed in particolare le TERRE DEMANIALI gravate da uso civico derivano dalla concessione dell’uso civico (ovvero del diritto di coltivare, raccogliere, cacciare, pescare e cos via) effettuata dal feudatario o dal pontefice, in favore dei sudditi,
2) le TERRE PRIVATE gravate da uso civico deriva da un’altra tipologia di concessione, con cui venivano attribuite dal sovrano determinate terre ai sudditi, imponendo contestualmente l’obbligo di corrispondere un canone all’autorità sovrana concedente.
Dunque, dato che tutte le terre erano feudali, o pontificie, la dottrina ha utilizzato una massima poi ripresa dalla giurisprudenza: ubi feuda, ibi demania.
L’ACCERTAMENTO
La Legge 1766/27, nelle intenzioni del Legislatore fascista nacse come norma per la liquidazione degli usi civici, anche se poi, nell’interpretazione della giurisprudenza, diventa una norma per mantenere in vita gli usi civici. Essa prevede all’art. 3:<<Chiunque eserciti o pretenda esercitare diritti della natura di cui all’articolo precedente, è tenuto, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge, a farne dichiarazione al commissario istituito ai sensi dell’art. 27. Trascorso detto termine senza che siasi fatta la dichiarazione, rimane estinta ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento dei diritti medesimi, che non trovinsi in esercizio… Quest’ultimo inciso offre la sponda alle giurisprudenza, che impone l’accertamento dell’esercizio dei diritti.
Probatio diabolica:
La Giurisrpudenza è molto rigorosa nella richiesta di prove per accertare l’esistenza degli usi civici, fino al punto che la Prova dell’Inesistenza degli usi civici diventa una probatio diabolica: Tutto fa prova per l’esistenza e solo la sentenza si accertamento (emessa dall’organo competente) fa prova dell’INESISTENZA.
Sul punto Trib. Avezzano 2015, condanna un notaio arrivando ad affermare: <<Non vi è dubbio che la diligenza professionale del notaio non possa limitarsi ad un riscontro presso tale registro delle denunce degli usi civici ex art. 3 della Legge), ma debba estendersi –oltre alle evidenze catastali- all’indagine presso la competente PA delle procedure amministrative di verifica concluse o pendenti, delle quali dovrà notiziare le parti in epoca anteriore alla stipula del contratto.
La lunghezza die tempi di accertamento e la compessità della procedura di seguito esposta, porta alla paralisi di fatto della circolazione, contro, non solo l’art. 27 L. Not. , ma anche gli artt. 41 e 42 Cost (iniziativa economica e garanzia della prorpietà privata).
Organo competente:
TH1) -> atto di natura amministrativa, deferito alle Regioni ex Dpr 1/72 e 616/77.
Th2) → atto di natura giurisdizionale, sicuramente di competenza dei Commissari con sentenza di accertamento. Così la Corte Costituzionale n.113/2018, secondo cui il vincolo paesistico e la relativa tutela ambientale si riconnettono direttamente all fuzione di accertamento dell’uso civico, che dunque dovrebbe spettare allo Stato (e per il suo tramite al Commissario per gli usi civici).
TH3) -> potere concorrente di Commissario e Regioni, argomentando dalla sent. della Corte Costituizonale n. 46/1995, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 29 della L. 1766/27 proprio nella parte in cui tale norma non consente la permanenza del potere del commissario di esercitare d’ufficio la propria giurisdizione (nell’accertamento) anche dopo il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative.
Accertato l’uso civico, andrà accertato se si sia di fronte a Terre Pubbliche o Private (che hanno due diversi regimi circolatori).
TERRE PRIVATE
Il Terreno Allodiale è ritenuto tradizionalmente, COMMERCIABILE, anche se gravato da uso civico non liquidato.
TERRE PRIVATE gravate da uso civico LIQUIDATO (liberamente commerciabili)
1) Se liquidate con scorporo (o divisione) ex art. 5 L. 1766/27 è estinto → ogni diritto;
2) Se liquidate con con imposizione del canone di natura enfiteuitica ex art. 7 L. 1766/27, poi affrancato -> il terreno potrà considerarsi del tutto liberato dagli usi civici.
(La procedura ordinaria di liquidazione prevede quale corrispettivo il cd. scorporo o divisione, tuttavia, l’art. 7 ammette l’imposizione del canone quando i terreni abbiano ricevuto sostanziali e permanenti migliorie, o si tratti di piccoli appezzamenti non aggruppabili in unità agrari).
TERRE PRIVATE gravate da uso civico NON ancora Liquidato
1)Tradizionalmente il bene è sempre stato ritenuto commerciabile, sia se gravato (a) dall’uso civico, sia se gravato (b) dal canone di natura enfiteutica, ritenendosi opportuno, in tale ultimo caso, far emergere dagli atti notarili di trasferimento la preesistenza dell’uso civico, successivamente liquidato.
2) L’art. 3 della recente L. 168/2017 ha ingenerato il dubbio che il Legislatore possa averne previto l’incommerciabilità <<co. 1 Sono beni collettivi:…d) le terre di proprieta’ di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati;…co. 3 Il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell’inalienabilita…>>.
TH1) Occorrerebbe l’intervenuta affrancazione del canone eventualmente imposto per la commerciabilità;
TH2)Si ritengono gli usi civici liquidati già nel momento dell’emissione del provvedimento di liquidazione, a prescindere dalla successiva affrancazione dell’eventuale canone enfiteutico imposto con la liquidazione
3) Il divieto di alienazione ex art. 21 co. 3 si ritiene testualmente riferito solo alle terre pubbliche quotizzate disciplinate dai superiori artt. 19 e 20 e non alle terre private disciplinate.
LIQUIDAZIONE e COMPETENZA
Premessa:
La Liquidazione si ritiene inammissibile per le terre pubbliche, in quanto, si eslude che possa attribuirsi un compenso agli stessi comproprietari delle terre. Piuttosto, in tali casi, occorre procedere con una quotizzazione (o ripartizione, o divisione) di tali terre tra i vari cives comproprietari, ex art. 13. Si ritengono però liquidabili le terre pubbliche già quotizzate, previa assegnazione a categoria agricola.
Competenza:
Tradizionalmente ricondotta tra i poteri di carattere amministrativo dei Commissari, trasferiti alle Regioni ex art. 1 D.P.R. 11/72 e art. 66 e 71 D.P.R. 616/77. La corte costituzionale (sent. n. 71/2020) conferma questa affermazione, asserendo: <<..sarebbero state trasferite dallo Stato alle Regioni le sole funzioni amministrative connesse alle ipotesi di liquidazione degli usi civici..>
TERRE PUBBLICHE
Gli usi civici su terre di prorietà pubblica, ovvero della collettività (cd. terre “di natura civica” o “demani civici”), sono disciplinati dall’art. 9 seguenti della Legge 1766/27, che, a seguito della cd. Assegnazione a categoria (ex art. 11 L. 1766/27) distingueva tali terre in:
a) terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente,
b) terre utilizzabili a coltura agraria.
Terre di categoria A):
L’uso civico era destinato a durare indefinitamente, salvo espressa Autorizzazione amministrativa ex art. 12 L. 1766/27 all’alienazione o ad una diversa destinazione;
Terre di categoria B):
Erano destinate ad essere quotizzate (ai sensi dell’art. 13 L. 1766/27), cioè ripartite per quote ed assegnate alle famiglie di coltivatori diretti del Comune, a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un canone che poteva essere affrancato. Per effetto di tale affrancazione, il terreno diveniva di proprietà privata e poteva essere liberamente commercializzato, non prima (art. 21 L. 1766/27).
Il tutto fermi restando i procedimenti di Legittimazione (ex art. 9 della L. 1766/27) e Conciliazione (ex at. 29 L. 1766/27), che si esamineranno in seguito.
Inammissibilità dell’Assegnazione a categoria e dell’Occupazione:
La Corte Costituzionale, alla luce della compentenza statale in tema di programmazione paesistico.ambientale (art. 142-143 Dlgs. 42/04), ha ritenuto oggi incompatibile con la conservazione ambientale la quotizzazione e perciò non avente più ragion d’essere la propedeutica assegnazione a categoria.
Infatti, oggi, l’intero patrimonio dei beni civici è destinato alla tutela paesisticoambientale di spettanza del Governo entrale ai sensi dell’art. 142 e 143 Dlgs. 42/04, senza che si possa distinguere tra categorie di usi civici (categoria a e b).
La sentenza n. 71 del 2020 (richiamando la Sent. n. 113/2018) così interviene:<<nel vigente quadro normativo la previa assegnazione a categoria dei beni civici non è più necessaria, in quanto il vincolo paesaggistico-ambientale è già perfetto e svolge pienamente i suoi effetti a prescindere da tale operazione,…Infatti, l’assegnazione a categoria era funzionale alla quotizzazione dei terreni coltivabili, il cui fisiologico esito era l’affrancazione (previo accertamento delle migliorie colturali), cioè la trasformazione del demanio in allodio, oggi incompatibile con la conservazione ambientale>>.
AUTORIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Con riferimento ai terreni di categoria a) (boschi e pascoli) l’art. 12 della legge 1766/27 stabilisce che i Comuni e le associazioni non possono alienarli o mutarne la destinazione, se non previa Autorizzazione ministeriale.
Requisiti:
Secondo la formunlazione dell’art. 12, l’autorizzazione richiede una previa assegnazione a categoria del terreno, ma ad oggi è stato più volte ribadito l’inutilità di una distinzione tra categorie di usi civici e dunque di una assegnazione a categoria, che quindi NON si ritiene più un requisito per l’autorizzazione.
Competenza:
L’autorizzazione amministrativa, un tempo di competenza del Ministero, si ritiene oggi di competenza delle Regioni, per effetto dei più volte citati DD.PP.RR. 11/72 e 616/77, stante la natura amministrativa di tale autorizzazione.
Caratteri:
L’autorizzazione si ritiene debba essere preventiva in quanto l’autorizzazione costituirebbe strumento necessario per la “sdemanializzazione” del bene e le alienazioni compiute in assenza di previa autorizzazione sarebbero da ritenersi nulle (per impossibilità dell’oggetto, ha più volte statuito la Cassazione).
Atti autorizzabili:
ai sensi dell’art. 12 della L. 1766/27, è stato affermato che l’autorizzazione all’alienazione potrebbe avvenire soltanto per le compravendite, poichè l’art. 24 della legge n. 1766 del 1927 fa riferimento ad un “prezzo di vendita dei terreni dichiarati alienabili”, e non riguarderebbe invece il trasferimento di diritti reali limitati. In senso favorevole alla circolazione, oggi si ritiene tutto autorizzabile.
LEGITTIMAZIONE
La legittimazione è un istituto volto a legittimare (ovvero sanare) una occupazione abusiva di terre civiche pubbliche (cd. demanio civico), da parte di un determinato soggetto, sia esso o meno un membro della collettività titolare delle stesse terre.
Effetti:
Legittimazione determina il venir meno dell’uso civico e con esso dell’inalienabilità del terreno, senza che occorra la successiva affrancazione del canone enfiteutico imposto sulla terra per effetto della legittimazione, come pure previsto dall’art. 21 ult. comma L. 1766/27.
1) Infatti, l’art. 21 si ritiene riferito al solo canone enfiteutico previsto in sede di quotizzazione e non al canone imposto in sede di legittimazione (e anche nella sistematica dell’articolato della L. 1766/27, l’art. 21 segue l’art. 19 intema di quotizzazione e non pare perciò riferito all’art. 9 in tema di legittimazione).
2) Si ritiene altresì irrilevante l’art. 3 co. 1 lett. d) della L. 168/2017, secondo cui le terre con usi civici “non ancora liquidati” sono inalienabili, poichè tale ultima norma nel riferisri ad usi civici non liquidati, presuppone che l’uso civico sia ancora esistente, affermazione che si ritiene non vera in presenza di un’avvenuta legittimazione (la quale apputo estingue l’uso civico).
Competenza (alla legittimazione):
La legittimazione si emette con un’ordinanza, sulla cui competenza si è a lungo discusso a seguito del passaggio alle Regioni delle competenze amministrative dei commissari.
TH1) la competenza spetterebbe alle Regioni, per effetto del trasferimento di tutte le competenze amministrative dei commissari, tra le quali si suole ricomprendere anche il provvedimento di legittimazione.
TH2) la competenza sarebbe rimasta ai Commissari, in quanto l’art. 71 co. 1 lett. i) del D.P.R. 616/77, che ha trasferito alle regioni le funzioni amministrative, ha espressamente escluso dal trasferimento di attribuzioni la funzione di legittimazione:<< Sono di competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti:… i) l’approvazione delle legittimazioni sugli usi civici, di cui alla legge 16 giugno 1927, n. 1766>>.
Analogamente, l’art. 66 ult. co. Del medesimo Dpr, prevede che <<L’approvazione delle legittimazioni di cui all’art. 9 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e’ effettuata con decreto del Presidente della Repubblica d’intesa con la regione interessata>>.
Discrezionalità:
La legittimazione è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e non è un diritto individuale dell’occupante, salvo solo un obbligo di motivazione dell’amministrazione in caso di diniego.
Reintegra:
Nei casi in cui la legittimazione non fosse possibile, il bene abusivamente occupato dovrebbe essere restituito al Comune o alla’ente esponenziale rappresentativo della collettività che ne era titolare (cd. Reintegra).
CONCILIAZIONE
La conciliazione è l’istituto disciplinato dall’art. 29 della legge 1766 del 1927, esperibile in ogni fase del procedimento e promuovibile sia d’ufficio che per iniziativa delle parti.
Effetti:
comporta la conversione di una parte delle terre demaniali in allodiali (o private), assegnandole definitivamente ad un proprietario libere da ogni uso e peso, mentre la restante parte delle terre rimane alla collettività.
Natura:
Contratto di diritto privato che si instaura tra il singolo ed una collettività rappresentata dal Comune, sottoposto alla condizione sospensiva dell’approvazione dell’autorità superiore. L’efficacia della conciliazione omologata viene equiparata alla sentenza o ad una decisione definitiva, alla stessa stregua della transazione.
Procedimento:
assimilato alla Legittimazione e qualificato anch’esso di natura Amministrativa; sospenderebbe sempre il procedimento di legittimazione.
Competenza(alla conciliazione):
TH1) Sulla base del testo della legge del 1927, la conciliazione alcuni ritengono debba tuttora essere omologata dal Commissario per gli usi civici e sottoposta ad approvazione delle Regioni, che ha sostituito l’approvazione ministeriale.
Th2) dopo il trasferimento delle competenze statuali alle Regioni la conciliazione si ritiene interamente trasferita alle Regioni, per evitare un controllo della regione su un organo dello Stato, quale è il Commissario.
In questo senso paiono orientate anche alcune decisioni del Consiglio di Stato e della Cassazione, che partono dal presupposto che la conciliazione rientri tra le funzioni amministrative (oggi trasferite alle Regioni) e non tra le funzioni giurisdizionali.
Il Cons. Stato nel parere n. 1277/79 asserisce che: <<Deve dunque escludersi che tali funzioni siano rimaste allo stato (riferendosi all’approvazione della conciliazione)>>.
TERRENI EDIFICATI
TH1) l’edificazione non eliminerebbe l’inedificabilità dell’immobile gravato da usi civici
TH2) il manufatto edificato sul terreno gravato da uso civico, potrebbe essere commerciabile:
a) perchè, se la costruzione sia avvenuta su una parte delimitata del fondo, in modo da non pregiudicare l’esercizio dell’uso civico, oppure
b) perchè l’edificazione renderebbe il terreno edificato irreversibilmente sottratto all’uso civico, per un ontologica incompatibilità sopravvenuta tra l’attività oggetto del diritto civico e l’esistenza di costruzioni su di esso.
In tale ultimo caso, resterebbe solo da valutare la legittimità dell’autorizzazione ad edificare come strumento per sottrarre il terreno all’uso civico, alla luce della competenza del Governo centrale nella programmazione paesaggistica, in cui gli usi civici vengono oggi ad esplicare la propria funzione (cfr. 142 e seg. Dlgs. 42/04).
Quindi, ogni attività autorizzativa dell’edificazione, proveniente dai Comuni, secondo la normativa vigente in tema di permessi di costruire, non potrebbe mai essere legittima in assenza dell’espressione di un potere decisorio del Governo centrale.
L’inammissibilità si ritiene esserci sicuramente per le terre pubbliche, in quanto dovrebbe accedersi all’idea di una cd. sdemanializzazione o sclassificazione di fatto, reiteratamente avversata dalla Giurisprudenza Costituzionale.
Urbanistica:
Quanto alla regolarità urbanistica del manufatto abusivo, il problema va letto alla luce dell’art. 4 L. 47/85 e art. 27 co. 2 D.P.R. 380/01, che impongono l’abbattimento allorquando la costruzione sia avvenuta su area disciplinata dalla legge del 1927. Soltanto per le costruzioni ultimate entro il 1° ottobre 1983 (prima dell’entrata in vigore della c.d. Legge Galasso, poi trasfusa nel Dlgs. 42/04) ed oggetto di procedimento di sanatoria, dopo la legge 13 marzo 1988, n. 68, che ha convertito in legge il D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, è stata prevista la possibilità di superare il vincolo di uso civico, attribuendo ai soggetti pubblici proprietari del terreno di uso civico il compito di concedere la disponibilità dell’uso del suolo.
CONCLUSIONI
Alla luce die tentativi regionali di stabilizzare le situazioni abnormi derivanti dagli usi civici, quantomeno in presenza di terreni edificati (si veda la L. Regionale Lazio n. 1/86), l’orientmento, pur giusto die Giudici delle Leggi è quello di sancire l’incompetenza di tali tentativi normativi locali.
Dunque la soluzione deve avvenire:
1) con un’adeguata legge nazionale, per ottenere la quale sarebbe auspicabile anche la proposta di censura di ogni legge nazionale incompatibile con il generale principio a cui dovrebbe tendere la legge liberalizzatrice: la disponibilità della proprietà privata, principio, non solo cosittuzionale (cfr. 41 e 42 Cost.), ma finanche strutturale del nostro ordinamento.
2) una adeguata legislazione regionale , che si muova entro i limiti die principi nazionali, ad esempio con un totale snellimento di tutte le procedure amministrative che oggi sono acclaratamente delle Regioni .
Gian Marco Antonelli
