Edilizia residenziale

L’Edilizia residenziale pubblica, come dice lo stesso termine, si concretizza in quel settore dell’edilizia in cui un intervento pubblico mira a fornire alloggi per determinate categorie di cittadini meno abbienti.
L’edilizia residenziale pubblica si suddivide in tre diversi rami: l’edilizia agevolata, l’edilizia convenzionata e l’edilizia sovvenzionata, ciascuno di essi con disciplina sua propria. Pertanto, una prima difficoltà esegetica per l’operatore del diritto riguarda proprio l’individuazione della normativa applicabile al caso esaminato, poichè risultano frequentemente richiamate nelle provenienze, negli atti in genere e nelle eventuali convenzioni, una pluralità di normative, spesso abrogate o modificate. Inoltre, si rammenta che anche le eventuali normative locali ed in particolare quelle regionali, sul tema vanno rispettate, con ciò complicando non poco il quadro interpretativo e rendendo quantomai necessaria una comprensione chiara della legislazione nazionale.
La distinzione tra le su indicate tipologie di edilizia residenziale pubblica può essere sintetizzata come segue:
– nell’edilizia Convenzionata, gli alloggi sono costruiti da soggetti privati, a seguito di una convenzione stipulata con il Comune;
– nell’edilizia Agevolata, gli alloggi sono costruiti da privati con un contributo statale;
– nell’edilizia Sovvenzionata, gli alloggi risultano costruiti direttamente da enti pubblici.

Edilizia convenzionata

Nell’edilizia convenzionata rientrano gli alloggi destinati a determinati soggetti meno abbienti, costruiti da soggetti privati, con i quali la Pubblica Amministrazione abbia stipulato una convenzione.
E’ opportuno individuare due filoni normativi: le convenzioni cd. PEEP (ovvero piani di zona per l’edilizia popolare economica), disciplinate dall’art. 35 della Legge n. 865 del 1971 e le convenzioni cd. Bucalossi, originariamente disciplinate dalla Legge 10/1977, oggi articoli 17 e 18 del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia); inoltre, nell’ambito delle convenzioni cd. PEEP occorre distinguere le convenzioni aventi ad oggetto l’assegnazione dell’alloggio in diritto di superficie e quelle aventi ad oggetto l’assegnazione dell’alloggio in piena proprietà.
Ebbene, l’operatore del diritto, nell’esaminare la convenzione sottoposta al proprio vaglio, che potrebbe contenere molteplici rinvii normativi, dovrà tener conto dei criteri di seguito esposti, in ordine alla successione cronologica delle normative nel tempo ed al loro effettivo ambito di applicabilità.
Si precisa fin da subito che nelle normative anteriori alla Legge 865/71, non erano previsti limiti alla circolazione degli alloggi.
Per individuare la normativa applicabile al caso concreto, bisognerà innanzitutto considerare se la convenzione abbia ad oggetto la concessione del solo diritto di superficie sul suolo da edificare, o la concessione del diritto di proprietà sul suolo da edificare, con la precisazione che nell’ambito del diritto di superficie sarà sempre applicabile l’art. 35 L. 865/71. Diversamente, nell’ambito del diritto di proprietà, dovrà distinguersi tra a) convenzioni cd. PEEP, disciplinate dalla L. 865/71 fino al 1997, e dalla L. 10/77 (poi confluita nel D.P.R. 380/01), a far data dal 1997 e b) convenzioni cd. Bucalossi, disciplinate dalla L. 10/77, poi confluita nel D.P.R. 380/01.
A complicare il quadro, è intervenuta la Legge 179/92, secondo cui le convenzioni cd. PEEP stipulate dopo il 1992 non subiscono più limiti e divieti di alienazione (fermi restando quanto si vedrà per gli eventuali limiti convenzionali). Tuttavia, con riferimento agli effetti di tale L. 179/92, le conclusioni non sono così scontate; basti pensare che l’orientamento assolutamente dominante fino al 2015, interpretava in un senso la portata abrogativa della Legge 179/92, mentre le Sezioni Unite della cassazione, nel 2015 hanno stravolto tale orientamento.
Infatti, fino al 2015 si riteneva che l’art. 23 della Legge 179/92 avesse inequivocabilmente abrogato i commi da 15 a 19 dell’art. 35 L. 856/71, stante la testuale previsione dell’art. 23 L. 179/92. Tuttavia, il Legislatore del 2011, introducendo l’art. 31 co. 49 bis nella L. 448/98, ha ingenerato il convincimento nella Suprema Corte, che in realtà l’abrogazione operata dalla L. 179/92 avesse portata limitata; ciò perché la norma del 2011 fa riferimento nuovamente ai “vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione […] contenuti nelle convenzioni di cui all’art. 35 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie […]” (art. 31 co. 49 bis L. 448/98, introdotto dal citato Dl. 70/11).
Dunque, l’orientamento precedente alle Sezioni Unite del 2015 era quello di ritenere abrogati i limiti al prezzo di cessione per tutte le alienazioni successive alla norma abrogativa del 1992. Diversamente, l’orientamento delle Sezioni unite del 2015 è stato quello di ritenere abrogati i limiti di prezzo di cessione per le sole alienazioni aventi ad oggetto alloggi costruiti in esecuzione di una convenzione successiva al 1992, con ciò limitando la portata abrogativa della l. 179/92.
Senza voler analizzare in ottica critica la sentenza della Suprema Corte – che peraltro in un’ottica operativa e prudenziale si ritiene vada recepita sic et simpliciter – bisogna osservare che gli ermellini si sono limitati a tentare una conciliazione tra la L. 179/92 e il nuovo 31 co. 49 bis della L. 448/98, dato che la prima norma parlava di abrogazione pura e la seconda invece dava per presupposta la sussistenza del limite per tutte le convenzioni posteriori al 1992.
Certamente la tecnica legislativa utilizzata dal Dl. 70/11 non brilla per chiarezza, tuttavia, poiché non sta all’operatore del diritto indagare la correttezza o meno della tecnica legislativa, bensì individuare il diritto vigente, sembrerebbe che la conclusione cui è giunta la citata sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, sia la conclusione che è più ragionevole seguire, quantomeno in un’ottica prudenziale.
A conclusione del quadro fin qui delineato, può analizzarsi il recente decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria», e successiva la legge di conversione 17 dicembre 2018, n. 136, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 18 dicembre 2018, che fornisce nuovi spunti di riflessione su sul tema della permanenza dei vincoli in materia di edilizia convenzionata.
Il recente art. 25 undecies del Dl. 119/18, infatti, interviene nuovamente a modificare l’art. 31 della L. 448/98 in tema di affrancazione dai vincoli degli alloggi oggetto di edilizia convenzionata, facendo ancora una volta riferimento ai vincoli di prezzo previsti dalla L. 865/71, ma senza chiarire quali siano questi limiti di prezzo: la novella si limita ad eliminare dal comma 49 bis il riferimento alle convenzioni PEEP “stipulate precedentemente all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179”.
Il nuovo D.L. 119/18, inoltre, lascia spazio ad una conclusione diversa da quella prospettata dalla Cassazione rispetto alle conseguenze per la violazione dei vincoli di prezzo. Infatti, il nuovo comma 49 quater dell’art. 31 L. 865/71 chiarisce testualmente che, a seguito dell’eventuale affrancazione del bene dai vincoli di prezzo ad opera del venditore, costui non sarà più tenuto a restituire all’acquirente l’intero maggior prezzo percepito in sede di vendita rispetto al prezzo vincolato e sancisce che <<il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato>>, aprendo uno spiraglio interpretativo verso l’effetto dell’inefficacia del negozio, ferma restando la sua validità, in luogo della nullità sostenuta dalle S.S.U.U. della Cassazione con la sent. 18135/2015.

Edilizia Agevolata

Nell’ambito dell’edilizia agevolata rientrano quegli alloggi non di lusso con determinate caratteristiche, destinati ad utilizzatori finali con determinati requisiti e costruiti da soggetti privati ai quali lo Stato abbia concesso contributi. Di norma, la costruzione degli alloggi “agevolati” avviene grazie a mutui agevolati garantiti da ipoteca sull’alloggio o sull’area e da garanzia sussidiaria dello Stato.
Va inoltre precisata la possibilità – peraltro molto frequente dopo la Legge 179/92- di una combinazione della normativa in tema di edilizia agevolata con quella in tema di edilizia convenzionata (cd. edilizia agevolata-convenzionata), potendo gli alloggi essere costruiti in piani di zona (si vedano gli artt. 72 e segg. e 35 co. 11 L. 865/71).
Anche nell’edilizia agevolata, per individuare la normativa applicabile al caso esaminato, occorrerà tener conto della normativa da cui promanano le agevolazioni, tra quelle di seguito elencate, precisandosi fin d’ora che uno spartiacque è rappresentato dalla Legge 179/92, che ha ridefinito tutta la materia dell’edilizia agevolata.
Tuttavia, anche in tema di edilizia agevolata, la Legge 179/92 ha posto non pochi dubbi in ordine alla sua vigenza; infatti, come si preciserà anche negli schemi operativi che seguono, non è chiaro se tale norma trovi applicazione a tutte le alienazioni di alloggi agevolati successive all’entrata in vigore della legge del 1992, oppure se debba comunque tenersi conto della disciplina precedente anche dopo il 1992.
La soluzione della questione risulta di evidente importanza pratica perché l’art. 20 L. 179/92 prevede un divieto relativo di alienazione (superabile con un’autorizzazione regionale e di durata limitata a 5 anni dall’assegnazione o dall’acquisto dell’alloggio), mentre le normative precedenti prevedevano vincoli differenti.
Secondo un orientamento“restrittivo”, la Legge 179/92 sarebbe applicabile solo agli alloggi edificati sotto la vigenza della medesima legge, e cioè con le agevolazioni specificamente previste da tale legge. Conseguentemente, occorrerebbe distinguere il tipo di contributo goduto, poichè le normative precedenti alla Legge 179/92 prevedevano contributi sugli interessi, mentre la Legge 179/92, contributi sul capitale.
Secondo altro orientamento, invece, la Legge 179/92 avrebbe portata innovativa piena, tale da porsi come evoluzione dell’intero assetto dell’edilizia agevolata, con la conseguenza di essere l’unica normativa a cui dover guardare dopo il 1992, a prescindere dalla tipologia di agevolazione o contributo goduto dal privato per la realizzazione dell’alloggio.
A favore di tale ultimo orientamento depone anche l’incipit dell’art. 20 L. 179/92, secondo cui “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati o locati previa autorizzazione della regione […]”; dunque pare che la norma dica che tutti gli alloggi di edilizia agevolata, a far data dall’entrata in vigore della Legge 179/92, soggiacciono alla stessa L. 179/92. Né si può dimenticare che l’art. 6 della L. 179/92, nel definire i contributi di edilizia agevolata, fa riferimento ai contributi (già) previsti dalla Legge 457/78 e successive modificazioni, con ciò lasciando intendere che tale Legge 179/92 si applichi (quantomeno) anche agli alloggi originariamente realizzati con i contributi previsti dalla Legge 457/78 e successive modificazioni.
Dando questa interpretazione all’art. 6 L. 179/92, da ultimo citato, dovrebbe solo domandarsi se la Legge 179/92 si applichi – oltre che agli alloggi originariamente realizzati con i contributi previsti dalla Legge 457/78 e successive modificazioni – anche agli alloggi realizzati con agevolazioni previste da normative precedenti alla Legge 457/78, o solo agli alloggi realizzati sotto la vigenza della Legge 457/78 e successive. Ebbene, poiché la stessa Legge 457/78 è stata una normativa innovativa dell’intero settore dell’edilizia agevolata, che può ritenersi assorbente di tutta la normativa precedente, pare si possa ritenere che la Legge 179/92 sia una normativa di portata generale applicabile a tutti gli alloggi di edilizia agevolata alienati dopo il 15 marzo 1992 (ovvero dopo l’entrata in vigore della L. 179/92), a prescindere dalla tipologia di agevolazione goduta dal costruttore.
A suffragio di tale ricostruzione, può poi osservarsi che i limiti previsti dalla Legge 179/92, sono più stringenti della maggior parte dei limiti previsti dalle normative precedenti: infatti, come sopra accennato, la Legge 179/92 prevede un divieto di alienazione della durata di 5 anni, salvo autorizzazione.
Per tali motivi, pare ragionevole ritenere che la Legge 179/92 si applichi a tutti gli alloggi costruiti da privati con agevolazioni pubbliche ed alienati successivamente al 15 marzo 1992 (data di entrata in vigore della L. 179/92).
l’art. 20 della detta legge 179/92 innova profondamente la materia dell’edilizia agevolata e stabilisce un limite consistente in un’autorizzazione regionale all’alienazione dell’alloggio per 5 anni dall’assegnazione o dall’acquisto con la conseguenza della libera cedibilità dell’alloggio dopo il quinquennio e quanto alle sanzioni per violazione del divieto si ritiene che la sanzione debba essere quella della decadenza dalle agevolazioni.

Edilizia sovvenzionata

L’edilizia sovvenzionata, è quella branca dell’edilizia residenziale pubblica che si occupa di alloggi, sempre destinati a soggetti in precarie condizioni economiche, ma costruiti dallo Stato o da enti pubblici ad hoc, tra cui gli IACP (istituti autonomi case popolari) e ATER (aziende territoriali edilizia residenziale).
A seconda della legge regolatrice della materia, gli alloggi di edilizia sovvenzionata possono essere alloggi direttamente assegnati in proprietà all’assegnatario, o alloggi originariamente concessi in locazione con patto di futura vendita, oppure concessi in locazione con mera facoltà per l’assegnatario di acquistare la piena proprietà dell’alloggio stesso.
Anche in tale ambito dell’edilizia va inoltre precisata la possibilità che si abbia una cd. edilizia sovvenzionata-convenzionata, con conseguente applicazione della relativa normativa, allorquando l’alloggio sia edificato su aree comprese in piani di zona e previa stipula di una convenzione con il Comune, secondo quanto visto in tema di edilizia convenzionata.
Al fine di individuare la disciplina applicabile al caso concreto che coinvolga alloggi in edilizia sovvenzionata, si dovrà tenere conto dell’epoca di stipula degli atti di cessione in proprietà degli alloggi, con la precisazione che gli atti di assegnazione degli alloggi, di norma, già richiamano al loro interno la normativa di riferimento, poiché il Ministero dei lavori pubblici all’epoca predispose degli schemi d’atto messi a disposizione dei vari enti.
Uno spartiacque è rappresentato dalla Legge 513/77, che abroga le disposizioni anteriori; dunque bisognerà valutare se la cessione dell’alloggio oggetto di edilizia sovvenzionata sia avvenuta in data anteriore alla sua entrata in vigore (18 agosto 1977), con conseguente applicazione della normativa precedente, oppure se la cessione dell’alloggio sia avvenuta in data posteriore al 18 agosto 1977, con conseguente applicazione della L. 513/77 o della successiva Legge 560/93 (quest’ultima per le cessioni successive alla sua entrata in vigore avvenuta il il 15 gennaio 1994). Tali normative prevedeono un divieto di alienazione decennale ed un diritto di prelazione a favore dell’ente pubblico edilizio, in caso di vendita dopo i dieci anni.
Fermo restando quanto scritto, va però precisato che la Legge 513/77 non trova applicazione per i contratti che nascono come locazione con patto di futura vendita, ma solo per i contratti che nascono come “locazione semplice” (art. 27 co.1 L. 513/77). Gli alloggi assegnati in locazione con patto di futura vendita, inoltre, si ritiene non subiscano alcun limite alla successiva circolazione, non rinvenendosi nelle normative che nel tempo hanno previsto tale figura, divieti alla successiva circolazione degli alloggi.
Con riferimento alla legislazione precedente alla Legge 513/77 ed alla Legge 560/93, occorre precisare che la normativa di riferimento è dettata essenzialmente dal D.P.R. n. 2 del 17 gennaio 1959, salvo che l’alloggio di edilizia sovvenzionata fosse rivolto a speciali categorie di soggetti, o – in particolare – a lavoratori, nei quali casi troverebbero rispettivamente applicazioni il D.P.R. 1035/72, la Legge 43/49, la Legge 1148/55, o a Legge 60/63. In verità, ancor prima del D.P.R. 2/59, altre normative avevano disciplinato la materia, quali il R.D. 165 del 1938, il Dlgs. 1029 del 1948, la Legge 408 del 1949 e la Legge 640 del 1954; tutte tali normative però non prevedevano alcun vincolo per la successiva circolazione degli alloggi (che venivano assegnati in locazione semplice con possibilità di riscatto dopo un determinato periodo) e pertanto su tali normative non pare necessario soffermarsi.
A partire dal D.P.R. 2/59 è prevista l’inalienabilità degli alloggi per un determinato periodo di tempo (cfr. D.P.R. 2/59, Legge 1035/72, Legge 513/77 e Legge 560/93), salvo che per alcune normative speciali (cfr. Legge 43/49 e Legge 1148/55); mentre dopo l’entrata in vigore della Legge 513/77 e della Legge 560/93, al divieto di alienazione si è aggiunto anche un diritto di prelazione a favore dell’ente. Peraltro tale diritto di prelazione, ai sensi dell’art. 1 co. 25 L. 560/93, “si estingue, qualora l’acquirente dell’alloggio ceduto in applicazione dell’art. 28 (L. 513/77) versi all’ente cedente un importo pari al 10 per cento del valore calcolato sulla base degli estimi catastali”.
Come già illustrato, la L. 513/77 innova profondamente la materia dell’edilizia sovvenzionata, poichè diviene applicabile a tutti gli alloggi ceduti dopo la sua entrata in vigore (o con domanda di riscatto confermata entro il 31 ottobre 1978); ed infatti l’art. 27 L. 513/77 abroga la precedente legislazionee prevede che <<alle domande confermate si applicano le norme stabilite dal successivo articolo 28[…]>> di seguito esaminato. Inoltre, a tali fattispecie rientranti nell’alveo della L. 513/77, ne va aggiunta un’altra, sebbene più marginale: la fattispecie prevista dall’art. 29 L. 513/77. Tale norma prevede che sono assoggettati all’art. 28 L. 513/77 anche gli alloggi aventi i seguenti requisiti:
– alloggi di proprietà degli I.A.C.P., situati in edifici in cui già risultassero trasferiti almeno i sette decimi dell’intero fabbricato, o la cui cessione era utile per la gestione del patrimonio, e purchè:
– la proposta di cessione provenisse direttamente dagli I.A.C.P., previa autorizzazione della Regione;
– i trasferimenti fossero comunque contenuti nel limite del 15% del patrimonio gestito e
– gli alloggi da cedere, per consistenza e ubicazione, avessero scarsa rilevanza sociale.
La disciplina applicabile a tutti questi alloggi è quindi quella fissata dall’art. 28 L. 513/1977.
A questo punto della trattazione pare opportuno tratteggiare alcune differenze esistenti tra le due principali normative in tema di edilizia sovvenzionata: la Legge 513/77 e la Legge 560/93, la quale ultima entra in vigore il 15 gennaio 1994 e da tale data viene a sovrapporsi alla legge 513/77, con essa coesistendo, poichè anche dopo il 1994 gli enti hanno continuato a fare riferimento alle modalità previste dalla Legge 513/77 , con conseguente applicazione della sua disciplina. In particolare, per gli alloggi ceduti dopo l’entrata in vigore della Legge 560/93 (15 gennaio 1994) trova applicazione o la Legge 513/77, o la Legge 560/93 a seconda del prezzo di cessione dell’alloggio. Quindi l’elemento discriminante per l’applicazione dell’una o dell’altra disciplina è rappresentato dal prezzo di cessione dell’alloggio concesso in locazione.

Per le soluzioni dei casi pratici relativi alla circolazione di alloggi di edilizia pubblica,ma anche per ulteriori approfondimenti e per l’esame della disciplina sanzionatoria in caso di violazione dei limiti posti dalle varie normative, si rinvia a:
Gian Marco Antonelli “L’edilizia residenziale pubblica (schemi e soluzioni operative)” Editoriale Scientifica, Napoli 2020; e Gian Marco Antonelli “
La circolazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica”, Cacucci editore, 2022.

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